«Dovevo sostituire una cinquantacinquenne con un figlio invalido. Ho rifiutato». Seduti a un tavolo, due amici, si raccontano una storia di ogni giorno, sulle difficoltà a trovare lavoro, sulle opportunità. E nella quale essere giovani e disoccupati, a volte, significa fare i conti anche con gli altri, mettendo da parte i problemi personali. Con un perenne senso di sconfitta dentro. Riprendiamo il dialogo dal blog Sei cose. Lo spread sì, ma anche le rose, di Daniele Zito
«Se non lo fai tu, lo farà qualcun altro» Quando il lavoro si scontra con la coscienza
Quella di cui avrei dovuto prendere il posto aveva cinquantacinque anni e un figlio disabile, ma ti rendi conto?
E tu che hai fatto?, gli chiedo.
Lui sorride, beve un sorso, e mi dice E che devo aver fatto? Ho rifiutato, ovvio, però per un attimo ci ho pensato. Prima non l’avrei fatto, di pensarci dico, adesso sì. Sai, per un attimo mi si è riempita la mente di stronzate Se non lo fai tu, lo fa qualcun altro, Anche lei lo avrebbe fatto a te, Ma di che ti preoccupi? e cose così.
Guarda un attimo il suo bicchiere.
A me questo non era mai successo, prosegue, Mai.
Restiamo in silenzio per un tempo che mi sembra lunghissimo. Gli altri, attorno a noi, parlano tra loro. Il governo, la corea, il nuovo presidente, vogliono privatizzare l’isola delle Correnti, mi ha lasciato, l’ho lasciato.
Beve un altro sorso d’amaro, ne bevo anch’io un sorso dal mio.
La vuoi vedere una cosa?, mi chiede, e si apre il ventre come un papavero, petalo a petalo. Entra, mi dice, Entra pure, fai un giro, fatti un’idea, guarda, così capisci di che sto parlando. Le sue costole si richiudono sopra di me lentamente. E’ tutto talmente carnoso, là dentro. Avanzo sprofondando, i piedi che si inzuppano di sangue, un corridio, un altro corridoio, un altro corridoio ancora, e poi finalmente la vedo. E’ lì, proprio davanti a noi. Tutta la sofferenza, tutto il tormento, tutta l’umiliazione, tutta l’offesa di quelle parole. Vuoi prendere il suo posto? Noi crediamo in te, noi qui tutti crediamo nei giovani, sono una risorsa per noi, noi qui puntiamo sulla gioventù. Le nostre teste sono due punte di spillo come tante altre, in mezzo a tante altre. Si aprono e si chiudono, si aprono e si chiudono, si aprono e si chiudono, mentre ci danno e tolgono il lavoro come e quando vogliono, con contratti che si fanno via via sempre più brevi, sempre più ridicoli. Non sono buoni nemmeno più a pagare, i padroni.
Non sono tanto i soldi che non bastano mai, mi dice, e neanche le cose che non posso comprare, o tutti i pomeriggi passati a inviare curriculum, quanto la sensazione di sconfitta cocente che si prova ogni mattina non appena apri gli occhi e la giornata ti si spalanca davanti inutile, che poi sconfitta di che?, mi chiedo, qua non si riesce a capire nemmeno se ci sono vincitori, siamo tutti vinti, un pugno di perdenti a vita. Cazzo, Daniele, non doveva finire così male. Non è giusto.
Daniele Zito
[Il post originale è sul blog Sei cose. Lo spread sì, ma anche le rose. La foto è di MrClementi]