Se non li vedi, non ci sono

«Te ne devi andare da qua, prima o poi, lo sai, vero?»
«Hai scoperto l’acqua calda, complimenti. Adesso non parliamone più».

Lui ha ventinove anni, tu appena venti. Siete in libreria, state dando un’occhiata ai titoli, ma non comprerete niente, perché sul comodino avete, entrambi, una pila di libri accatastati che attendono di essere affrontati. Non avete tempo.
Lui ha tre lauree (due delle quali non le ha neanche prese in Italia), e una quarta, specialistica, in fieri, nel senso che manca soltanto la proclamazione ed è fatta.
Tu no. Tu hai un diploma di liceo classico in tasca, hai appena passato il primo anno di Lettere e ti stai scaldando una poltrona fissa sul secondo anno, perché tanto non lo passerai, ché mica vuoi seppellirti sotto le fotocopie. Vuoi vivere un po’, anche. Vuoi lavorare, cercare di scrivere per un giornale e, quando capita, il sabato sera, fare la cameriera in un pub per mettere qualche soldo da parte.

Lui ti guarda, in libreria, sovrappensiero, e ti ricorda che, prima o poi, dovrai andartene da casa tua. Dovrai lasciare tutto quello che hai e tutto quello che ti sei guadagnata, dovrai prendere un aereo e partire per vivere, perché hai vent’anni in un momento in cui vent’anni non li vorrebbe avere nessuno.

Hai vent’anni quando nelle università non c’è posto per tutti, quando si licenzia un sacco di gente, quando in tivù mandano in continuazione le immagini di quei poveracci della Lehman Brothers che prendono le loro cose e lasciano gli uffici.
Hai vent’anni mentre “si stava meglio quando si stava peggio” non è più soltanto un luogo comune, bensì una verità assodata, di quelle che Piero e Alberto Angela ti spiegherebbero a colpi di SuperQuark.
Hai vent’anni e sei convinta che la laurea dovrebbero cominciare a stamparla in un soffice formato a quattro veli, e farla pubblicizzare ad un cucciolo di labrador beige, giusto per renderne un po’ più chiara l’utilità e risparmiare a tanta gente un sacco di stress e nervosismo assolutamente superflui.

Negli anni in cui tu hai vent’anni commetti un errore ad essere nero, perché poi finisce che fanno una guerra civile per mandarti via e che sui quotidiani ti chiamano “randagio” e tutti stanno zitti; commetti un errore ad essere gay, perché ti picchiano in mezzo alla strada tizi che quando si presentano dicono nome, cognome, e poi “Svastichella, per gli amici”, e il sindaco di una capitale a caso ha il coraggio di dire che quello mica era legato agli ambienti della destra extraparlamentare; commetti un errore a non essere cattolico, perché dei tuoi diritti non gliene importa granché a nessuno, e se dici che, se ci deve stare il crocifisso nelle aule di scuola, allora tu vuoi pure un tappetino rivolto a La Mecca, e una statua di Buddha, ti prendono per pazzo, eretico e pussaviabruttodemonio.

Quindi di anni vorresti averne qualcuno in più, così a certe cose ci avresti fatto il callo e quando le sentiresti non ti verrebbe la gastrite. Oppure vorresti averne qualcuno di meno, così di politica, società e robevarie non te ne fregherebbe assolutamente niente e, magari, una volta cresciuta, le cose si sarebbero aggiustate.
Il guaio è che, invece, di anni ne hai proprio venti, in questo periodo talmente strano da sembrare una caricatura di se stesso.

Esci dalla libreria e fai finta che lui non abbia mai detto niente.
In fondo, puoi anche credere che se ti volti dall’altra parte, le cose che ti turbano non esistono.


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