Scuola per migranti, storie di Yaya, Charlene e Arouna Da dietro ai banchi alla conquista di un posto di lavoro

Sogni e speranze dei migranti che passano per i banchi e le lezioni del Centro provinciale istruzione adulti. Sono quelle di Arouna, Charlene, Yaya e dei loro compagni. Ragazzi e ragazze africani impegnati nella lettura di Pinocchio e che, dopo qualche minuto iniziale di imbarazzo, si sciolgono e cominciano a raccontarsi. Agli studenti stranieri viene rilasciata una certificazione per la lingua italiana. Diplomi di livello A1 e A2 che vengono conferiti senza compensi di alcun tipo. I percorsi didattici del Cpia – che dal 2015 hanno sostituito i Ctp (Centri territoriali permanenti) – si occupano di istruzione per adulti che non hanno assolto all’obbligo scolastico e all’alfabetizzazione degli stranieri. L’obiettivo finale è quello di facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro.

«Da novembre a oggi ho imparato geografia, matematica, scienze e grammatica – racconta a MeridioNews Charlene, che ha 32 anni da sette mesi vive in Italia, dove «la gente è accogliente» e si sente «tranquilla». È nata in Costa d’Avorio, ha studiato Criminologia e prima di arrivare sulla nostra isola è passata dalla Libia. «Il mio fidanzato è morto durante il viaggio verso la Sicilia e pensavo che da sola non ce l’avrei fatta». Oggi vive con altre studentesse in piccoli appartamenti dello Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) aspettando un’offerta di lavoro, magari nel mondo della moda.

Nel mondo del lavoro ha già fatto il suo ingresso il ventenne Arouna, che viene dal Mali ed è in Italia dal 2014; da maggio ha un contratto a tempo indeterminato come pizzaiolo nel noto locale di via Santa Filomena Fud. «Sto imparando tante cose e nel tempo libero non smetterò di fare teatro con Emanuela Pistone». Ma non dimentica il suo impegno col Progetto Immigrati Casa dei Popoli gestito da Paola Scuderi, che con la sua squadra è il punto di riferimento per gli stranieri. A Yaya invece – che ha 27 anni ed è in Sicilia da otto mesi – piacciono le materie tecniche e vorrebbe fare il meccanico o il falegname. Anche lui viene dalla Costa d’Avorio e ha lavorato «come agricoltore, allevatore e muratore in Africa». Vive in una comunità catanese con altri otto ragazzi che hanno con gli educatori, con cui passano molto tempo, un rapporto speciale.

Ma non tutti convivono con la comunità allo stesso modo. Il segreto è «continuare a vivere normalmente» svela il diciassettenne Yunior, che fa anche volontariato con la Caritas. «Non è facile rispettare gli orari, ma mi piace sicuramente più della scuola». E tra gli studenti c’è chi sogna di rimanere nella terra che li ha accolti come Bassy – che ha 18 anni ed è arrivato con la barca dalla Libia cinque mesi fa – che vorrebbe dedicarsi all’allevamento o all’agricoltura, e chi aspetta di poter tornare a casa. E’ il caso di Ebrima che viene dal Gambia dove vorrebbe rientrare, dopo aver studiato e lavorato, per «aprire un ristorante nel terreno di mio padre».

Dirigente scolastico del Cpia Ct1 – che ha un’estensione territoriale di 100 chilometri e riunisce le sedi di Catania, Palagonia, Scordia, Ramacca, Caltagirone e Mineo dove lavorano 152 docenti e 45 personale Ata– è Antonietta Panarello che racconta come la scuola segua il concetto del lifelong learning, il programma d’azione per l’apprendimento permanente dettato dalla comunità europea da circa vent’anni. «Dopo tanto tempo finalmente ci siamo e a Catania si è creata una rete con gli istituti di istruzione secondaria come l’Alberghiero, il Woytila, l’Archimede, il Cannizzaro».

La preside sottolinea che quella di Catania e provincia è «l’unica istituzione in Italia deputata a certificare il livello A2 senza ricevere compensi di alcun tipo». Fino a poco tempo fa chi aveva bisogno di questa certificazione, per richiedere il permesso di soggiorno lungo, doveva affidarsi ad associazioni ed enti che lo rilasciavano a pagamento. In accordo con le università si fa anche ricerca didattica innovativa e dal prossimo anno è previsto l’uso degli e-book per agevolare gli studenti e creare presupposti per la formazione a distanza. «Lavoriamo con etnie diverse e gruppi sempre nuovi – chiarisce la Panarello – e bisogna conoscere le dinamiche di un approccio didattico interculturale».


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