Da Terrasini a Montelepre passando per Prizzi e per le vie di Palermo. Tra le decine di riti che tra sacro e profano hanno dato vita a una settimana santa che ricalca perfettamente quella narrata da Leolardo Sciascia nel suo La corda pazza
Scorci della Pasqua vissuta nel Palermitano Tradizione e «momenti di afflato religioso»
«Cos’è una festa religiosa in Sicilia? Sarebbe facile rispondere che è tutto, tranne una festa religiosa». A scriverlo, ne La corda pazza è stato Leonardo Sciascia, tra i pochi ad aver colto spirito e contraddizioni dei riti dell’Isola. Tra questi, quelli celebrati durante la settimana santa, «vero momento di afflato religioso» precisa Sciascia nel saggio al quale L’Osservatore Romano non fece mancare una stroncatura. Ma ciò che lo scrittore aveva visto, in una partecipazione tanto trasversale e unanime al dramma della Passione di Cristo sono «il tradimento, l’assassinio, il funerale di popolo, il dolore di una madre»,con una teatralità che spinge alla commozione anche chi durante l’anno non è strettamente praticante…
Soltanto nel Palermitano sono decine i riti e i simboli che si rincorrono, tra sacro e profano: a Prizzi, ad esempio, la lotta tra il bene e il male prende corpo attraverso il ballo dei diavoli, connotati da maschere gigantesche e tute rosse. Circondano “La morte”, che si aggira tra la folla vestita di giallo e con una balestra, scegliendo a caso una vittima che finirà all’inferno se non le consegnerà una moneta, dolci o uova fresche. L’insistenza dei diavoli non si ferma neanche di fronte all’incontro tra la statua della Madonna e del Cristo: per due volte riescono a impedirlo, ma al terzo tentativo sono colpiti dagli angeli, e la vittoria del bene viene segnata dalla perdita del manto listato a lutto della Madonna e dal suono delle campane. A Terrasini, invece, si svolge la “festa di li schietti”, cioè dei celibi, che si sfidano in una prova di virilità e abilità sollevando e facendo ruotare un albero di arancio amaro. “L’alzata” principale è quella che si fa sotto il balcone della “zita”, la fidanzata, ma tutto il rituale è preceduto e seguito da una serie di cure: l’albero è addobbato con nastri rossi e campanelli e inizialmente trainato su un carro da un cavallo con i finimenti della festa. La banda musicale segue il corteo di ragazzi che incita e circonda il gruppo di “schietti” che si sfideranno. A vincere sarà infine chi riuscirà a tenere sollevato l’albero per più tempo, un’impresa non scontata, visto che l’arbusto deve pesare sui 50 kg!
A Montelepre, invece, circa 400 figuranti interpretano gli ottanta quadri con gli eventi più importanti dell’Antico e del Nuovo Testamento, da Adamo ed Eva fino alla processione dei Misteri e al viaggio di Gesù al monte Calvario. Una tradizione che si svolge con costumi storici sin dal 1761. Una via Crucis vivente molto suggestiva si svolge a Trabia, mentre a Gangi le confraternite sfilano in processione con mantelli riccamente decorati per le vie della città. Tra i Comuni di Piana degli Albanesi, Contessa Entellina, Santa Cristina, Mezzojuso e Palazzo Adriano, invece, il rituale è quello greco-albanese. Canti tipici, costumi albanesi del 400, icone bizantine portate in processione, sono i tratti salienti della pasqua arbëreshe che si conclude con la distribuzione, domenica, delle uova rosse, simbolo di resurrezione.
E a Palermo? Decine sono le rappresentazioni della Passione che si svolgono nei vari quartieri. Quelle più tradizionali sono quattro: quella della confraternita dei Cocchieri (in passato muniti di eleganti livree) che va dalla chiesa della Madonna dell’Itria, la confraternita dei panettieri di Maria SS. Addolorata con figuranti in armature romane, quella della Soledad e dei Cassari, composta dagli artigiani palermitani devoti alla Madonna del Lume che percorrono le vie del centro storico. Un rituale caratteristico fatto in diverse parrocchie, ma particolarmente suggestivo a San Domenico, è, infine, la calata di la tila, cioè la caduta del telo, quando, alla veglia Pasquale, tra canti di gioia cade il telo pesante (marrone o nero) che copre l’altare maggiore in segno di lutto, svelando così l’immagine del Cristo risorto.