Sciopero della scuola, gli studenti etnei lo disertano Prof: «Mancano informazione e voglia di confronto»

Insegnanti già abilitati che devono affrontare nuovi concorsi, neo-laureati sottopagati, studenti diversamente abili con pochi insegnanti di sostegno. E ancora separazione tra licei e istituti tecnici che si avvicinano sempre di più alla formazione professionale, alternanza scuola lavoro – che all’esame di Stato prende il posto della cosiddetta tesina – e quiz Invalsi che ancora non tutti hanno digerito. Non ci stanno gli insegnanti catanesi che questa mattina sono scesi in piazza per far sentire la propria voce durante lo sciopero nazionale della scuola indetto da Cobas, Unicobas, Usb, Anief, Cub e FederAta, che ha visto partire da piazza Stesicoro un corteo di un centinaio di docenti schierati contro i decreti attuativi della legge Buona scuola varati dal governo Gentiloni che completano un quadro «già disastroso».

«Siamo a quasi due anni dall’approvazione della legge 107, emanata nonostante l’80 per cento dei lavoratori della scuola avesse scioperato – dice Nino De Cristofaro di Cobas Scuola e docente di Storia e filosofia al Boggio Lera di Catania – e la situazione non ha fatto altro che peggiorare, sia per le famiglie e i ragazzi sia per quanto riguarda gli edifici scolastici che invece di essere abbelliti stanno crollando». Le riforme, lamentano in molti, vengono fatte sempre dai teorici mentre chi vive la scuola ogni giorno non viene mai interpellato. «I decreti interessano anche la scuola dell’infanzia», ricorda un’insegnante arrivata da Augusta per la protesta, che sottolinea come per il momento il tempo pieno sia stato assicurato e i bambini abbiano avuto servizi come le mense, il doposcuola e i trasporti. «Oggi noi insegnanti siamo costretti a portarci il cibo da casa, una grande vergogna, mentre i bambini devono usufruire di una mensa privata pagata dai genitori».

«A Catania non mancano le classi e gli alunni a cui potere insegnare – osserva Antonella, docente in assegnazione provvisoria, che parla a nome degli insegnanti costretti a spostasi al Nord -. Lì mancano docenti perché con 1300 al mese non ci puoi vivere. Non possono chiederci di stare a 1600 chilometri di distanza dalle nostre famiglie, ma devono dare valore alla manodopera del Sud che va a istruire i figli del Nord». «Dopo quattordici anni ho fatto un anno di prova nelle Marche, poi mi hanno avvicinata in Lombardia e adesso lavoro come insegnante di sostegno a Catania – aggiunge la collega che la accompagna -. Ho dovuto pagare doppio affitto e doppie bollette e lasciare alcune situazioni delicate in famiglia». Chi invece non ha preso parte al corteo, almeno in questa circostanza, sono gli studenti. Per qualcuno non sono abbastanza coinvolti, per altri non c’è abbastanza informazione e per qualcun altro non sono in grado di scioperare nella giusta maniera, perché «hanno perso l’identità ideologica dello sciopero per far sentire una voce unica e confrontarsi».

In piazza anche i vigili del fuoco, contro i tagli al soccorso e all’istruzione. «Dovremmo essere uno ogni mille abitanti, invece siamo uno ogni quindicimila», commenta Carmelo Barbagallo del consiglio nazionale Vigili del Fuoco, che denuncia sedi fatiscenti e non antisismiche e la mancanza di un adeguato addestramento. «Se dovessero verificarsi due calamità saremmo costretti a scegliere chi salvare e chi deve aspettare, ed è inammissibile». «I diritti non sono privilegi», recita invece la scritta sulle magliette delle mamme dell’associazione 20 novembre 1989, che da un anno si muove per tutelare i diritti delle persone con disabilità. «La legge 104 sull’integrazione è tra le più avanzate in Europa e oggi si torna a parlare di inclusione e di ridurre le ore ai diversamente abili», denuncia la mamma di Agnese, che frequenta la Parini di Catania, assieme a tanti altri bambini di Gravina, Mascalucia e della provincia di Catania. 

«La legge in teoria è buona, è la pratica che non funziona. Veniamo tenuti in disparte e i nostri figli diventano patologie più che persone», chiariscono i genitori, per cui l’integrazione è fondamentale affinché il bambino possa crescere sereno. «Si rischia di tornare agli istituti specializzati e siamo assolutamente contrari, perché lo studente con deficit deve stare in un ambiente che lo possa stimolare, mentre nelle classi speciali si verrebbe a creare una situazione piatta. Non ci aspettiamo miracoli – concludono – ma i piccoli ne traggono grandi benefici, perché ogni bambino ha qualcosa da dare agli altri». 


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