Riprendiamo l'intervento di Massimo Caponnetto, uno dei rappresentanti di Lettere, che allarga il dibattito al problema degli sbocchi professionali dei laureati in comunicazione
Scienze della comunicazione: più attenzione al mercato del lavoro
Che dire… è un tema vecchio, che giustamente si ripresenta ogni anno. Ma a differenza del passato vorrei usare un punto di vista diverso, perché diversa è la situazione che si sta creando nei corsi di Scienze della Comunicazione. Fino ad un anno fa pensavo che l’unica possibiltà per far riemergere dalle secche in cui si sono arenati i vari corsi di Scienze della Comunicazione fosse quella di far si che si aggiungessero al piano di studi materie più affini con il mondo della comunicazione, così da generare progressivamente dei progetti che potessero unire realmente la teoria e l’applicazione. Sinceramente in questi anni alcune materie sono state inserite, grazie a varie pressioni e discussioni in commissione didattica, [L’autore si riferisce al corso attivato nella facoltà di Lettere, N.d.R.], ma quello che emerge è un problema più profondo, e si fonda su una armonia di base che manca.
In poche parole, l’inserimento di materie “tecniche” diventa inutile in mancanza di un programma all’altezza del corso e di un legame pratico con quello che si spiega. Può anche venire un esperto di pubblicità a farmi la lezione, ma questo non è sinonimo di assoluto vantaggio proprio perché molti “uomini del mestiere” non hanno la più pallida idea di come si insegni, oppure sono tanto abituati a lavorare da soli da non riuscire a creare dei veri e propri gruppi di lavoro. Questa premessa non la faccio per sviare il problema trattato nell’articolo, ma soltanto per riportare l’attenzione sul concetto di insegnamento, e su una progettualità territoriale che manca e che a mio avviso rende monco il curriculum dei corsi in scienze della comunicazione. Quindi maggiore armonia nei programmi delle singole materie e maggiore comunicazione con quel mercato del lavoro, pubblico e privato, che potrà assorbire gli studenti di Scienze della comunicazione.
Per quanto riguarda la collaborazione interfacoltà il mio auspiscio è da sempre quello di un tavolo di discussione in cui possano emergere gli interessi degli studenti prima che le meccaniche e gli equilibri delle singole facoltà. Finchè il mio mandato me lo permetterà cercherò di esporre la situazione vista dalla parte dello studente di Scienze della Comunicazione, ma è necessario che tutti si rendano conto che non si può piantare una particolare pianta in un ambiente in cui difficilmente essa può crescere e germogliare. E che dunque gli sforzi maggiori non devono limitarsi all’interno dell’Ateneo, ma devono essere rivolti anche e soprattutto all’esterno; sia per ricevere man forte, sia per intrecciare dei legami che diventino possibilità di sviluppo per tutta la regione.