«Ho vissuto un incubo per sette anni, ho speso tutti i miei risparmi e ho dovuto vendere casa per pagarmi le spese giudiziarie». Lui è Santo Bonasera, impiegato della Città metropolitana di Messina che, nel 2012, è stato rinviato a giudizio – insieme ad altri 57 dipendenti pubblici – con l’accusa di truffa ai danni […]
A processo per sette anni come assenteista, ma non era lui. Storia di un «incredibile errore giudiziario»
«Ho vissuto un incubo per sette anni, ho speso tutti i miei risparmi e ho dovuto vendere casa per pagarmi le spese giudiziarie». Lui è Santo Bonasera, impiegato della Città metropolitana di Messina che, nel 2012, è stato rinviato a giudizio – insieme ad altri 57 dipendenti pubblici – con l’accusa di truffa ai danni dello Stato. Secondo la ricostruzione dell’accusa, insomma, i lavoratori avrebbero timbrato il badge dei colleghi a turno per assentarsi dagli uffici e andare a sbrigare le proprie commissioni. Un’accusa che, però, Bonasera ha sempre rifiutato. «Colleghi, amici e anche alcuni familiari – continua il racconto dell’uomo – mi guardavano male fino a quando, ho dimostrato di essere innocente e sono stato assolto perché c’era stato uno scambio di persona. Ho provato a chiedere un risarcimento ma senza fortuna, ora chiederò i danni alla Corte europea dei diritti dell’uomo».
Il processo, in effetti, si è concluso nel 2019 con 39 condanne e 18 assoluzioni. Tra gli assolti anche Bonasera, che ancora ricopre l’incarico di portiere all’interno dello stabile dell’ente, accusato tra l’altro di avere spostato con un bastone una delle telecamere di sorveglianza in modo da eludere i controlli. Visionando le foto incriminate, Bonasera aveva spiegato che quello non era lui, ma un altro dipendente. Nonostante le richieste da parte del suo avvocato, l’uomo non era riuscito a fare visionare le immagini prima dell’ultima udienza. Solo a quel punto, dopo sette anni, i giudici lo hanno assolto perché il fatto non sussiste. «Ho speso tutti i soldi che avevo – spiega Bonasera all’Ansa – per pagare gli avvocati per difendermi, nonostante fossi innocente. A un certo punto, non sono più riuscito a pagare più il mutuo e non ho potuto ottenere un prestito perché l’ente dove lavoro aveva scritto che ero a rischio licenziamento per l’inchiesta. Quindi – conclude l’uomo – ho dovuto vendere casa e ora vivo in affitto e non ho più risparmi. È un incredibile errore giudiziario: la giustizia ha tempi troppo lunghi e, come spesso accade, è poco attenta perché il mio caso si sarebbe potuto risolvere subito e senza alcuna conseguenza».