Un mese a bordo della sua auto con la telecamera. Tutto parte da una voce registrata. È quella del padre del filmaker, Enrico Maria Artale, mai conosciuto fino a 25 anni. «Un percorso introspettivo dalla ricerca paterna alla scoperta di una terra» che è stato in nomination come miglior documentario ai David di Donatello
Saro, un messaggio in segreteria che cambia la vita Roma-Sicilia, «diario filmato» alla ricerca di un padre
«Ciao Enrico, sono Saro Sardo Infirri. Forse qualche volta mi puoi telefonare, ci sentiamo». Poche parole, un tonfo al cuore e l’unica certezza che a lasciare questo messaggio nella segreteria telefonica è Saro, il padre mai conosciuto. È la prima volta che Enrico sente la voce del genitore che è andato via dalla sua vita quando aveva poco più di un anno. Comincia così un viaggio, lungo la Sicilia, la terra delle sue origini, che lo porterà alla ricerca della figura paterna.
È questo il tema del nuovo film autobiografico e pluripremiato del giovane filmaker Enrico Maria Artale che è stato in nomination come miglior documentario ai David di Donatello 2018. Saro è un road movie introspettivo raccontato con un linguaggio privato e poetico. «Quando, ormai nove anni fa, ho acceso la mia telecamera per filmare un messaggio di mio padre registrato nella segreteria – spiega a MeridioNews – non pensavo di aver dato inizio a un percorso che mi avrebbe cambiato la vita e la carriera».
Nato a Roma nel 1984 e cresciuto solo con la madre, Enrico si appassiona molto presto al grande schermo. «Da ragazzino avevo una passione per i western», ricorda. Dopo la laurea in Filosofia, decide di realizzare il suo sogno e si iscrive al Centro sperimentale di cinematografia. Il suo talento non passa inosservato. Vincitore del Nastro d’Argento con il cortometraggio Il respiro dell’arco nel 2012, arriva a presentare, l’anno successivo, alla 70esima mostra del cinema di Venezia il lungometraggio Il terzo tempo. Nel 2016 è la volta di Saro, che si aggiudica il premio come il miglior documentario italiano alla 34esima edizione del Torino Film Festival e una menzione speciale al Salina DocFest.
«Saro – confida il regista – è il nome del mio padre biologico che ho incontrato, per la prima volta, a 25 anni. Avevo cominciato a frequentare da poco il Centro sperimentale di cinematografia e quel suo messaggio registrato sulla segreteria telefonica ha innescato dentro di me un processo che mi ha spinto a incontrarlo di persona». A bordo della sua auto, accompagnato soltanto dalla sua inseparabile videocamera, Enrico parte da Roma alla volta della Sicilia per ritrovare il padre e filmare ogni momento. Un viaggio lungo un mese che si snoda tra incontri profondi e scenari dell’anima fino al confronto sperato e, allo stesso tempo, evitato con Saro.
La scelta di non arrivare subito a destinazione ma, al contrario, percorrere tutta l’Isola «era un modo di trovare lo spirito giusto per affrontare la situazione e prepararmi all’incontro che diventava sempre più cupo man mano che mi avvicinavo alla meta». Il documentario, ci tiene a precisare il regista «non racconta soltanto la ricerca paterna ma anche l’esplorazione di una terra, la Sicilia, dalla quale proviene anche la famiglia di mia madre». L’attesa e l’ansia di trovarsi faccia a faccia con il padre, si riflette nel paesaggio, mentre la musica, composta dal sound designer Marco Messina e dal compositore Emanuele Raymondi, segue le emozioni del giovane e, in un crescendo di suoni, culmina nell’incontro «spiazzante» con il genitore.
«Una sorta di diario filmato», lo definisce il regista che ha ammesso di aver atteso anni prima di trovare il coraggio o il desiderio di rivederlo e di decidere di farne un film. «Ho scelto come titolo Saro non tanto per omaggiare mio padre, quanto per sottolineare una figura paterna enigmatica, difficile da definire, sulla quale mi sono interrogato per cercare di riempire un vuoto. Oggi sono consapevole – conclude – che questo documentario nasce dall’esigenza quasi terapeutica di elaborare una mancanza intima ma anche universale».