In una lunga lettera aperta, interviene sulle celebrazioni agatine Salvatore Resca, 82enne vice parroco della parrocchia Santi Pietro e Paolo: «È una festa religiosa ma non cristiana», dice. Operando una distinzione che, a suo avviso, è essenziale. Dichiarazioni forti, alle quali lui, però, non è nuovo
Sant’Agata, la presa di posizione di padre Resca «Non va certo abolita, è necessario ridefinirla»
«Sant’Agata è una festa religiosa, anzi religiosissima. Il guaio è che il cristianesimo è un’altra cosa». Padre Salvatore Resca è convinto che i festeggiamenti agatini non abbiano niente a che vedere con il cristianesimo e la fede cristiana. Il punto di vista del vice parroco della parrocchia di Santi Pietro e Paolo è contenuto in una lunga lettera pubblica, che muove da un presupposto chiaro: la differenza tra sentimento religioso e fede cristiana: «La religiosità dice a Dio: “Che cosa puoi fare tu per me?”; la fede chiede a Dio: “Che cosa posso fare io per te?”». Così, l’offerta o il voto dell’uomo religioso presuppongono uno scambio, per quanto ancora perfettamente religioso («In cambio devi guarirmi dalla malattia»). Mentre l’uomo di fede non pretende alcun corrispettivo, spiega ancora padre Resca, rimettendosi a Dio anche in riferimento alle sofferenze della vita umana, che sopporta come una prova nell’attesa che sia Dio stesso a lenirle o a cancellarle.
In questa visione prospettata dal parroco, la festa di Sant’Agata raggruppa elementi religiosi genuini e popolari (i devoti che vengono appellati come cittadini, l’offerta dei ceri come voto alla santa), ma sfugge al significato profondo della cristianità: il martirio. Che è poi il destino stesso di Agata. «La religione è un sentimento umano, comprensibile, genuino – dichiara oggi Resca a MeridioNews – ma è solo il primo gradino per raggiungere la fede cristiana».
Viene da chiedersi in che modo la città ed i devoti possano digerire una simile posizione: «Male, naturalmente – prosegue padre Resca – ma non darei la colpa alle persone. Piuttosto la darei a chi dovrebbe fornire loro i necessari strumenti di comprensione e non lo fa. Nel corso dei secoli le gerarchie hanno molto spesso dato ai popoli solo una verniciatura di cristianesimo. Si figuri che nella mia parrocchia non ci sono santi, immagini sacre, statue. Quando la gente mi chiede la tradizionale benedizione della casa, io rispondo: non sono un mago, sono un parrino». Nei primi anni Novanta, a seguito di una presa di posizione non dissimile a quella odierna, Resca ricevette una busta con dentro due proiettili e minacce di morte.
Lo scorso anno, invece, fece discutere a lungo la sua apertura netta verso le unioni civili. «Posso permettermi libertà di parola perché sono esterno alla struttura ecclesiale, addirittura non prendo denaro perché vivo della mia pensione civile da insegnante di Filosofia». E tornando alla festa di Sant’Agata, la conclusione del parroco 82enne è altrettanto schietta: «Non va certo abolita, perderemmo uno straordinario patrimonio. Ma dovremmo ridefinirla, perfino rinominarla».