Sanità/ Gl’italiani, se non è essenziale, non si curano più. Motivo: non hanno soldi

SI LEGGE QUESTO ED ALTRO NEL XVII RAPPORTO PIT SALUTE

I risultati, come c’era da attendersi, sono sconvolgenti. Lo studio si basa su oltre 24 mila casi segnalati nel 2013 ai Pit salute nazionale e regionali e alle sedi locali del Tribunale per i diritti del malato.

Di questi, poco meno di un quarto (23,7 per cento), sono casi segnalati per le difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie; un terzo delle segnalazioni riguarda il costo del ticket; il resto sono segnalazioni legate alle interminabili liste d’attesa.

Nel Bel Paese i malati sono obbligati spesso a “sopportare” liste di attesa esagerate e ingiustificate e a pagare ticket sempre più cari per servizi scadenti che, spesso, costringono i pazienti a rivolgersi a servizi privati o all’intramenia. Si parla di pazienti che devono aspettare un anno prima di avere la diagnosi di un tumore o di capire se il loro cuore rischia un infarto.

Come mai tempi d’attesa così lunghi? Semplice: i governi non pensano a prendersi cura della salute dei cittadini (del resto, a loro degli elettori non interessa molto, dato che non sono stati loro a ‘nominarli’). Il Piano di governo dei tempi di attesa è fermo al 2012 e la definizione degli standard nazionali dell’assistenza territoriale, attesa ormai da tempo, non è stata neanche prevista nel recente Patto per la Salute.

Anzi, stranamente, per il governo pare che vada tutto bene. Secondo il Ministero della Salute, le Regioni starebbero addirittura migliorando i propri Lea, i Livelli essenziali di assistenza in attesa, ovvero l’insieme delle attività, dei servizi e delle prestazioni che il Servizio sanitario nazionale (Ssn) dovrebbe mettere a disposizione di tutti i cittadini gratuitamente o con il pagamento di un ticket.

Forse il Ministero dimentica che proprio i Lea, creati nel 2001, da allora non sono mai stati aggiornati e che manca un nuovo sistema di monitoraggio in grado di valutare la reale accessibilità dei servizi. E quello vecchio pare proprio non funzionare. Dice Tonino Aceti, Coordinatore Nazionale del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva: “Il sistema di monitoraggio non sembra fotografare la realtà vissuta dalle persone”.

Lo dimostra il fatto che, lo scorso anno, sono aumentate le segnalazioni per il costo dei ticket sull’economia della famiglia, ma soprattutto estrema difficoltà di accesso alle cure, peraltro con costi crescenti e con qualità sempre peggiori. Il tutto con conseguenze non secondarie: spesso i cittadini sacrificano la propria salute a causa dei costi insostenibili delle cure e del malfunzionamento dei servizi pubblici.

La situazione potrebbe peggiorare ulteriormente. Spiega ancora Aceti: “La revisione in atto della normativa sui ticket e dei Lea, stando ad indiscrezioni, profila un gioco al ribasso per i diritti dei cittadini”.

Un ribasso che già oggi si concretizza in numeri spaventosi. “Mediamente” un paziente deve attendere 14 mesi per una mammografia, 12 mesi per una TAC e, addirittura, 24 mesi (DUE ANNI!) per un intervento di ernia del disco e venti mesi per una visita psichiatrica.

Se il problema è di tipo oculistico la situazione non è migliore: bisogna attendere nove mesi per la visita e se, poi, fosse necessario un intervento di cataratta, il paziente dovrebbe “pazientare” per altri 8 mesi. E cosa dovrebbe fare in questi diciassette mesi? Non si sa. O forse sì: dovrebbe trovare i soldi per pagare il ticket, i cui costi, come dicevamo, sono aumentati vertiginosamente, ben oltre i livelli di aumento del costo della vita (ma non eravamo in deflazione?).

È per questo motivo che continua ad aumentare il numero dei cittadini che si rivolge a Cittadinanzattiva per problemi connessi con il ticket (fino a raggiungere il 31,4% del totale). Ma molti si lamentano anche dei problemi connessi con i costi elevati per specialistica e la diagnostica, o (il 12%) per prestazioni erogate a costo pieno invece che solo con il ticket oppure per la mancata applicazione dell’esenzione.

È aumentato anche il costo dei farmaci. “I medici di medicina generale – ha denunciato Luca Coletto, già assessore alla Salute del Veneto – mi dicono che i loro assistiti non hanno soldi. O mangiano o si curano”.

Le segnalazioni di problemi relativi all’aumento del costo dei farmaci sono passate dal 23,5 per cento dell’anno precedente al 25,7%. E i reclami per i costi dell’intramenia sono cresciuti di quasi il 4 per cento (dal 20,7 al 24,4). E anche quando, alla fine, si è riusciti a ricevere i servizi necessari, la loro qualità è calata. Sono aumentati (+2,3%) i disagi per i servizi ricevuti da medici di base e pediatri a problemi per la riabilitazione (+6,7%).

Ma non basta. Dopo che i pazienti hanno ricevuto i servizi necessari, spesso si sono trovati a fare i conti con presunti errori terapeutici e diagnostici o disattenzioni del personale sanitario. Fino ad arrivare, per assurdo che possa sembrare nel 2014, ad infezioni nosocomiali e da sangue infetto (segnalate in aumento del 3,8%).

Fino a qualche anno fa molti cercavano di risolvere questi problemi ricorrendo ai servizi privati. Ma la crisi dell’ultimo periodo ha costretto le famiglie italiane a rinunciare a 6,9 milioni di prestazioni mediche private.

“Quest’anno lo Stato nemmeno è riuscito a garantire l’adeguamento all’inflazione”, osserva Amerigo Cicchetti, direttore dell’Alta Scuola di economia e management dei sistemi sanitari. “Il risultato è stato che invece degli sprechi, sono diminuiti i servizi”.

Eppure le entrate per lo Stato dovute ai ticket (tre miliardi gli euro) sono aumentate del 25% dal 2010 al 2013 (dati Corte dei Conti). Ciò ha fatto sì che i costi medi annuali per famiglia sono cresciuti in modo insostenibile.

Secondo i dati del rapporto, ogni famiglia in un anno deve sostenere mediamente 650 euro per farmaci necessari e non rimborsati dal Servizio sanitario nazionale e 901 euro per parafarmaci. Ai quali vanno aggiunti 7.390 euro per strutture residenziali o semi-residenziali, 9.082 euro per l’eventuale badante, 1070 euro per visite specialistiche e riabilitative, 537 euro per protesi e ausili, 737 per dispositivi medici monouso, vale a dire pannoloni, cateteri, etc. etc..

Spese insostenibili. Motivo per cui, negli ultimi mesi, molte famiglie hanno dovuto rinunciare anche alle cure mediche. Il 57% degli italiani ha infatti dichiarato di aver rinunciato od essere pronta a rinunciare a diverse prestazioni mediche, dal dietologo all’oculista, passando per pediatra e fisiatra, a causa dei costi (Osservatorio Sanità di Uni Salute).

Nei giorni scorsi si è parlato del centro di assistenza di Emergency a Palermo. Forse non molti lo sanno, ma, anche in altre città (come nel poliambulatorio di Emergency di Marghera) questi centri sono diventati l’ultima spiaggia per molti per poter accedere a servizi sanitari negati dal Ssn o troppo cari: sono moltissime ormai le persone per le quali i 45 euro del ticket per farsi vedere da un’oculista o i 65 euro per sottoporsi a una ecografia sono diventati troppi.

Chi lo sa… forse è per questo motivo che Renzi ha proposto di restituire ai lavoratori i soldi messi da parte per il loro Tfr: per consentire loro di pagarsi le spese sanitarie.

… e tutto questo in barba all’art. 32 della Costituzione che recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti…”.

 

 

 


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