Qualche giorno fa, a piazza Università, sono stati montati tanti stand colorati. Intorno agli stand tanti bambini, tutti con la stessa maglietta, con su scritto “I. C. Andrea Doria”. Con i bambini c’erano le mamme e le insegnanti, e tutti insieme hanno pacificamente occupato la piazza, con un obiettivo preciso. Quello, sì, di vendere gli oggetti fatti dai bambini per raccogliere fondi; ma soprattutto quello di scrivere un finale diverso per la loro storia. Storia di uno sfratto annunciato, per la scuola di San Cristoforo; di un Comune che non paga l’affitto «da un paio d’anni» (ma nemmeno gli inquilini del plesso conoscono con precisione l’ammontare del debito); di uno sgombero definitivo fissato per il 12 luglio; di un anno scolastico, il prossimo, che potrebbe cominciare senza questo Istituto Comprensivo (l’unico della zona: le altre scuole presenti sono unicamente elementari).
La signora Stefania Licata, madre di Denise, spiega così la situazione: «La nostra preoccupazione non è tanto il trasferimento a un altro edificio, ma il rischio che venga trascurata l’attuale divisione delle classi. I nostri figli potrebbero trovare nella nuova scuola un ambiente del tutto nuovo, nel quale sarà difficile ambientarsi». Tra le ipotesi messe sul tavolo dal Comune c’è infatti anche quella di una struttura nuova, a norma, dotata di palestra – l’attuale edificio non ce l’ha – e di tutte le attrezzature necessarie. Ma di ipotesi in questi mesi il Comune ne ha avanzate troppe. E comunque, spiega Francesca Di Mauro, mamma di Andrea e Claudio, «ciò che il Comune non sembra tenere in considerazione è il tempo necessario a trasferire tutte le attività extrascolastiche. La scuola chiuderà a luglio; chi si offrirà di fare il trasloco ad agosto? Noi vorremmo che ci venisse concesso per lo meno un altro anno per effettuare in tranquillità lo spostamento».
«I cittadini ormai nutrono una profonda sfiducia nei confronti dell’autorità» dice la professoressa Mancuso, che insegna lingue alle medie. «L’Andrea Doria dovrebbe essere un avamposto dello Stato in un quartiere a rischio, e invece l’amministrazione municipale ha deciso di abbandonarci. Nessuno vuole pagare la cifra necessaria per ristrutturare l’edificio che attualmente ci ospita. Ma ciò che fa rabbia non è la mancanza di fondi: i soldi ci sono, noi contestiamo le scelte del Comune su come distribuirli. L’importanza di una realtà come il nostro istituto comprensivo è dimostrata dal fatto che, al di là del comitato delle mamme e degli insegnanti, che in fin dei conti sono i diretti interessati, molte associazioni (Città Insieme, GAPA…) si sono unite volontariamente a noi in questa lotta. Perché lo Stato, anziché rafforzare la sua presenza in un quartiere come San Cristoforo, si tira indietro? Perché toglie sempre a San Cristoforo per dare ad altri quartieri? È proprio questo tipo di atteggiamento ad alimentare la sfiducia nelle istituzioni, e la sfiducia concede sempre più spazio alle forme di contropotere».
Già: perché avere una scuola a San Cristoforo significa qualcosa di più della semplice comodità di accompagnare i figli a due passi da casa. «Nel nostro Istituto – continua la professoressa – i ragazzi possono concentrarsi sulla ricchezza e varietà dei laboratori extrascolastici, invece di stare ad ammazzarsi col motorino, per strada. In più, abbiamo sempre cercato di offrire dei servizi anche agli adulti del quartiere, organizzando corsi di informatica, di alfabetizzazione. Per questo diciamo chiaramente che qui una scuola, contrariamente a quanto si creda, può fare la differenza».
Per vedere i frutti delle ore spese nei laboratori pomeridiani, bastava passeggiare per gli stand: vasi in terracotta dipinti a mano, portamatite coloratissimi, fermacarte e mollette dalle più svariate forme esposti accanto ai ricami delle mamme, a dimostrazione dell’abilità manuale acquisita dagli studenti. E le capacità artistiche dei ragazzi non finiscono qui: c’è l’attività teatrale, la realizzazione di fumetti, la produzione musicale e canora (in piazza, c’era una vera e propria baby band che cantava dal vivo; ed esiste addirittura un Festival della musica organizzato ogni anno dall’Istituto).
Un’alternativa allegra e colorata alla strada e al degrado sociale. Un’alternativa che sembra coinvolgere i bambini di tutte le età, visibilmente orgogliosi dei propri lavori. C’è Maria, 7 anni, che senza indugio fa di tutto per rifilare la sua opera d’arte alla mamma. Antonino, 13 anni, che confessa di divertirsi molto quando impara a fare questi lavoretti: «È bello quasi come le gite». Poi c’è Salvo, 7 anni. «Quando suona la campana – ci dice la sua maestra – e arriva il momento di lasciare nastri, matite, colori e pennelli, lui chiede sempre: “Maestra, posso continuare?”. C’è Clarissa, 10 anni, che «adora studiare», e se le chiedi cosa le piace della sua scuola risponde «i miei amici, le mie maestre». Salvo (6 anni), Luciano (7 anni), Carmelo (6 anni) ci pensano un po’ e poi decidono: della loro scuola non cambierebbero niente. C’è Meri, 10 anni, che racconta col sorriso di venire dalla Romania, e ci presenta Gofren, 9 anni, che invece viene dalla Tunisia. Entrambe hanno un cappellino giallo, lo stesso che portano tutti i bambini della loro classe. Giallo come il velo che indossa la madre di Gofren, che passa a salutare la figlia e i suoi compagni. C’è Marika, delle medie, timida e modesta davanti al suo fumetto, uno dei migliori in mostra. Sorride e fa di sì con la testa, mentre la professoressa le raccomanda di coltivare la passione per il disegno. E poi Federica, 13 anni, che non sopporta soprattutto una cosa: «Quando i miei compagni escono da scuola e dicono le parolacce».
Dall’altra parte c’è il Comune. Che ha deciso di cominciare ad ascoltare le mamme solo dopo molte manifestazioni di protesta. Che ha fatto molte promesse ma prodotto pochi fatti, spingendo le mamme ad occupare i locali della Doria. Ci sono le suore Orsoline, le proprietarie del palazzo che, a detta delle mamme, erano venute loro incontro proponendo al Comune di pagare solo gli ultimi tre mesi d’affitto e di rateizzare il resto degli arretrati. Qualche giorno fa c’era quella piazza in festa, una festa di voci, suoni e colori; una festa per adulti, giovani e bambini. Adesso invece, c’è una scuola occupata. In entrambi i casi, le voci che si ascoltano formano un coro dalle sonorità femminili: un coro di mamme e insegnanti, decise a dimostrare quanto bene può fare, una scuola così, alla sua città.
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