«Nel mio Paese facevo il falegname». Adesso vive per strada, a San Berillo, in un limbo senza soluzione: in attesa, da oltre un anno, del rinnovo dei documenti. Senza potere partire e senza potere restare. Lui viene dal Gambia e nei giorni scorsi le forze dell’ordine, impegnate nel blitz The wall, hanno controllato anche le sue cose. Parla in un italiano stentato misto a inglese e racconta di come siano stati buttati per terra tutti i suoi vestiti: «Avevo lavorato in campagna per comprarmeli – dice – È un lavoro duro. Non sono un animale, non sono un asino. So che quella è polizia e fa il suo lavoro, ma io sono una persona e volevo solo rispetto».
Residenti del quartiere e associazioni che operano sul territorio sono scese in strada, ieri mattina, per organizzare una pulizia straordinaria del rione. E lo hanno fatto assieme ai migranti le cui tende sono rimaste tra le vie principali di San Berillo, un quadrilatero di centro storico che sembra non trovare pace, almeno nell’opinione comune: da quartiere a luci rosse a piazza di spaccio. «Il clima è quello di una criminalizzazione dell’intera zona», dice Rodolfo Ungheri, residente tra quelle strade e attivista dell’Arci Melquiades, proprio a due passi da dove viene fatta la pulizia delle strade.
L’obiettivo dell’appuntamento di ieri era provare a cambiare la narrazione su San Berillo. «Lo spaccio c’è qui? Sì, c’è in tutta la città. Non è una cosa bella», interviene Emilio Bellia, che vive dall’altra parte di corso Sicilia e volontario per la pulizia della strada. «Il problema però non è San Berillo. Il problema è il degrado di cui, a questo punto, sono complici anche le istituzioni e le persone che speculano qua dentro. Qui l’unica lotta contro il degrado, oggettivamente, è fatta dalle persone che vivono qui, che puliscono il quartiere e che lo fanno vivere».
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