Salvatore Tafuri, un bartender palermitano a New York «Nel paese della meritocrazia ho realizzato il mio sogno»

«A pieri in tierra, in tiesta ‘a guerra», dice Alessio Bondì nella sua Vucciria. Forse è la formula che riassume la condizione del palermitano che, resosi conto di scorazzare troppo veloce e dinamico per una città bella e ispiratrice, ma dai ritmi ancora assai compiaciuti e blandi, decide di progettare altrove. Salvatore Tafuri, bartender internazionale, ha la testa a New York e il cuore a Palermo. «È l’unico posto al mondo che definisco casa, anche se ho viaggiato molto sin da bambino e, adesso, non torno nella mia città da due anni. Palermo è cambiata: ogni volta che la visito, trovo una mentalità sempre più aperta». 

Tutto inizia al Victory Morgana Bay di Sanremo, dove lavora come barback: porta ghiaccio, insomma. È li che incontra Kazarae e la segue, per amore, nella Grande Mela. Trova lavoro grazie a un sito web e, dopo che Andrea De Leonardis, general manager del Caffè Falai, si imbatte nel suo curriculum, la sua vita cambia. La stampa newyorkese inizia a seguirlo e Salvo non la smette di vincere contest. Come quello che si è appena concluso e che lo ha visto piazzarsi secondo ai Bar Awards nella categoria Miglior bartender italiano all’estero. È a New York ormai da cinque anni e attualmente lavora al bar del The Standard Hotel. Ecco come una passione può diventare un lavoro, e non solo. «Un barman è un artista: riuscire a soddisfare i clienti miscelando spezie e liquori è indubbiamente arte». Un settore in continuo divenire, quello di Tafuri, dove drink e food intrecciano relazioni sempre più osmotiche, e ciò fa del bartender un cuoco, un erborista e persino un medico. «Stiamo assistendo a un’evoluzione incredibile, nell’ambito della quale serve ogni tipo di conoscenza. A forza di studiare i clienti si diventa anche psicologi». 

Per un italiano che ha talento e voglia di fare, vedere le porte dell’America schiudersi sarà fantastico, ma come è percepito il nostro Paese da quella prospettiva? «Lo stivale appare in tutta la sua bellezza, tuttavia continua a non esserci molta considerazione da un punto di vista politico». Nonostante le sortite tennistiche di Renzi, si potrebbe aggiungere. Salvo Tafuri è un mixologist: «Una sorta di chef, che abbina l’esperienza dietro al bancone alla maestria nella miscela dei cocktail, per creare sempre nuove ricette». Tra il jazz, la gente della notte e tanta, tanta umiltà, il barman shakera le sue giornate con ritmi al cardiopalmo. «In una città come questa, non c’è alcuna differenza – spiega – tra un sabato e un lunedì: le persone, poi, mangiano e bevono in qualsiasi momento del giorno e della notte: ecco perché il mio lavoro può diventare stressante. Per fortuna ci sono l’espresso e la passione. E una bella birra fredda alla fine del mio turno da dieci ore».

Se si chiedono a Salvo le differenze tra Italia e Usa, in quanto a metodo di lavoro e possibilità di carriera, la risposta sarà racchiusa in una sola parola: meritocrazia. Pizza, mandolino e raccomandazioni, dunque, sono gli ingredienti di un drink a base di emigrazione, dove non conta se all’inizio, come nel caso di Tafuri, «fai caffè e cappuccini e non sai la lingua», bensì emergono una considerazione del lavoratore e una fiducia nelle sue potenzialità che annaffiano le ambizioni di chi vuole riuscire. Tra successi e sacrifici, il palermitano si sente privilegiato anche sotto un altro punto di vista: «La differenza con l’Europa è che qui la gente mangia e beve al bancone: ciò crea un rapporto unico con il cliente, di stima e amicizia». Il sogno americano di Salvo continua, e chissà che non si avveri anche l’altro: aprire il proprio bar. In Italia?


Dalla stessa categoria

I più letti

Nella Grande Mela si è trasferito per amore. Adesso non smette di collezionare successi e di recente si è piazzato secondo ai Bar Awards. «È l’unico posto al mondo che definisco casa. Palermo è molto cambiata, c'è una mentalità più aperta»

Giustizia per Emanuele Scieri

Sono stati condannati i due ex caporali Alessandro Panella e Luigi Zabara. Finisce così il processo di primo grado con rito ordinario per l’omicidio volontario aggravato del parà siracusano Emanuele Scieri, avvenuto all’interno della caserma Gamerra di Pisa nell’agosto del 1999. Per loro il procuratore Alessandro Crini aveva chiesto rispettivamente una condanna a 24 anni e 21 anni, […]

Catania archeologica, l`occasione mancata

In una nota protocollata al Comune etneo a metà gennaio l'associazione di piazza Federico di Svevia chiede di gestire il bene del XII secolo, abbandonato, per garantirne «a titolo gratuito e senza scopo di lucro, la fruibilità». Adesso interrotta dal cambio del lucchetto del cancello da cui vi si accede e dalle divergenze con uno degli abitanti, che risponde: «C'era il rischio per la pubblica incolumità»

I processi a Raffaele Lombardo