Da un lato gli uffici giudiziari di Caltagirone che indagano sul presunto gesto di riverenza durante la processione pasquale. Dall'altro i messaggi di stima di alcuni cittadini che difendono il capomafia. «Che ogni volta che toglieva la vita a qualcuno si trasformava in una bestia», ricordava il pentito, oggi defunto, Antonino Calderone
S. M. Ganzaria, la figlia difende il boss La Rocca La procura: «Era organizzato, c’era lo stendardo»
Due fotografie che ritraggono il capo della famiglia mafiosa di Caltagirone Ciccio La Rocca sotto il fercolo del Cristo morto a San Michele di Ganzaria. Istantanee datate che lo immortalano mentre indossa un paio di jeans e occhiali scuri che coprono gli occhi. A postarle sul proprio profilo Facebook è Rosaria, la figlia dell’anziano boss detenuto da anni al regime del carcere duro ad Asti. Un ritorno al passato che getta ulteriore benzina sulle roventi polemiche legate al cambio di tragitto, avvenuto nei giorni scorsi, durante la processione del venerdì santo nel Comune calatino. La deviazione, sulla quale indaga la procura di Caltagirone, ha condotto la statua fino a piazza Monte Carmelo. Proprio davanti al civico numero tre, dove risiede la moglie di La Rocca. Nello spiazzale è partito un forte applauso, come conferma la figlia nel suo post, ma gli investigatori vogliono vederci chiaro per capire se dietro tutto questo ci possa essere un gesto di riverenza.
«Il percorso della processione ha ricalcato quello tradizionale, l’anomalia ricade in un altro elemento», spiega a MeridioNews il procuratore capo di Caltagirone Giuseppe Verzera. «Un gruppo di persone ha disposto che la varetta del Cristo morto prendesse la direzione dell’abitazione di La Rocca», precisa il magistrato. Una volta arrivati in piazza Monte Carmelo, dopo essere saliti lungo via Umberto, i portatori «hanno fermato il fercolo al centro dello spiazzale, dove è rimasto per mezz’ora. Arco di tempo durante il quale – spiega Verzera – il sindaco, il parroco della chiesa Madre e il comandante dei carabinieri hanno aspettato nella parte bassa della città l’arrivo della processione». «Crediamo che tutto fosse organizzato anche perché sul balcone della casa c’era uno stendardo». Sotto la lente d’ingrandimento della procura di Caltagirone potrebbero finire i portatori del fercolo, tuttavia al momento il fascicolo è stato aperto a carico di ignoti per il reato di turbativa di ordine pubblico e di funzione religiosa.
Mio padre è un grande uomo, tutti hanno un bel ricordo di lui
Nel frattempo, su Facebook la figlia di Ciccio La Rocca difende la legittimità dell’applauso di venerdì scorso. Un gesto isolato che, secondo la procura, non si è ripetuto durante il resto della processione. «Tutti hanno un bel ricordo – scrive la donna riferendosi al padre – e per questo quel bellissimo e caloroso applauso dinanzi casa mia, molto commovente ed emozionante per dimostrare che mio padre è un grande uomo». «Umiltà, carità e amore, questo è il motto con cui lui ha educato i suoi figli e ne siamo fieri, e lo difenderemo fino alla fine dei suoi giorni». La presa di posizione ha presto trovato il sostegno di numerosi abitanti del paese. «Concordo pienamente», scrive Stefania. C’è poi il nipote Umberto che ricorda il nonno come «il più grande amore». Nell’elenco figura anche chi ha preso parte alla processione finita nell’occhio del ciclone. «Le grida e gli applausi erano per la commozione e la forte devozione che abbiamo per il nostro Signore Gesù», racconta Sara.
Una levata di scudi a favore del capomafia che mette da parte anni di inchieste e sentenze definitive. Lo zio Ciccio, affiliato alla mafia da quando aveva 18 anni per volere di Calogero Conti della famiglia di Ramacca, è conosciuto come uno dei più sanguinari vertici della cupola siciliana. Di lui ha parlato il pentito Antonino Calderone. «C’è gente malata che prova piacere a uccidere – è la versione dell’ex reggente catanese, poi collaboratore di giustizia, morto nel 2013 – come quel Francesco La Rocca che ogni volta che toglieva la vita a qualcuno si trasformava in una bestia. Preferiva strangolare le persone per non fare rumore, con la vittima che si dibatte e morde e assume un’espressione terribile». La storia dell’allevatore diventato padrone del Calatino è ricca di aneddoti. Tra questi c’è anche un periodo di latitanza che Bernardo Provenzano ha trascorso in quei territori. Sotto le cure dello zio Ciccio, come dice lui stesso in un’intercettazione contenuta nell’incartamento dell’inchiesta Dioniso. Nella dinastia mafiosa non c’è solo il boss, ma anche il nipote ergastolano Gesualdo e i figli Francesco Gioacchino e Gianfranco. Il primo avrebbe tentato di riprendere in mano le redini della famiglia mentre il secondo è stato coinvolto in un’inchiesta di mafia e appalti per la strada statale Licodia Eubea-Libertinia. Il terzo, infine, viene indicato come nuovo reggente della famiglia di Caltagirone dal collaboratore di giustizia Giuseppe Laudani.