La didattica a distanza ha modificato il modo di fare scuola: dalla carenza di relazioni ai disagi psicologici «per cui, però, non è previsto nessun tipo di supporto». C'è tutto nel documentario in cui protagonisti sono gli alunni e gli insegnanti
(S)connessi, tutte le conseguenze della Dad sugli studenti Il documentario girato dal laboratorio di Officina Rebelde
«La didattica a distanza ha dimostrato che la scuola si fa in presenza». Poche parole, quelle dell’insegnate e sindacalista di Cobas scuola Nino De Cristofaro, racchiudono il senso del cortometraggio (S)connessi, le conseguenze della Dad sugli studenti, realizzato dal laboratorio Documentario di inchiesta diretto da Noemi Aprea e Sonia Giardina, per il primo esperimento cinematografico dell’Officina Rebelde inaugurato giovedì con la proiezione in piazza Federico di Svevia. Il documentario si pone l’obiettivo di mettere in luce le criticità della nuova dimensione dell’apprendimento: dalla carenza di relazioni ai disagi psicologici. Questi ultimi «sono molto diversi da quanto raccontato dai media», sottolineano gli attivisti.
Il documentario-inchiesta si sviluppa attraverso il racconto di due anni di lezioni a distanza da parte di studenti – perlopiù di quartieri disagiati di Catania – insegnanti e psicologi. «Abbiamo cominciato a febbraio 2021, subito dopo il lockdown – spiega l’insegnante e documentarista Sonia Giardina – e finito a giugno con corsisti che non avevano alcuna esperienza in ambito cinematografico e documentaristico». Un lavoro durato quattro mesi, fatto di incontri introduttivi per fornire le conoscenze di base per le tecniche di progettazione e di intervista. «Dopo la prima fase propedeutica, siamo passati all’azione – racconta a MeridioNews Noemi Aprea – con un progetto che ha coinvolto giovani e meno giovani: dai 25 fino ai 35 anni».
Istituti vecchi, organico precario, classi pollaio e nessuna concreta innovazione, sono i risultati dell’indagine compiuta dagli attivisti di Officina Rebelde. Perché «gli strumenti tecnologici non hanno raggiunto tutte le famiglie», spiega ancora Aprea. Al contempo, però, «sono aumentate le crisi depressive, la paura di tornare nel mondo reale e, nonostante questo, agli studenti non viene garantito un supporto psicologico», è la posizione di Aprea. Per Alessandro Adamo, uno dei corsisti del laboratorio, «gli effetti sono ancora in essere anche se li vediamo ogni giorno sui bambini, sul personale e sui genitori – commenta Adamo – Non eravamo assolutamente preparati e la Dad ha devastato totalmente la formazione dei bambini».
Godwin, Benedetta, Vanessa, Gabriele. Sono solo alcuni dei nomi dei ragazzi intervistati che in un susseguirsi di domande hanno evidenziato le criticità di un sistema di insegnamento virtuale. Gli ostacoli sono tanti: dalla difficoltà di comprensione all’assenza di un supporto umano, passando per gli strumenti tecnologici innovativi non ancora a disposizione di gran parte della popolazione. «Tre persone su dieci non utilizzano internet e più di metà della popolazione non ha strumenti digitali», racconta la voce fuori campo analizzando i dati Ipsos per Save the Children.
Più in generale, «manca la possibilità di parlare con altri strumenti che non siano le parole – evidenzia De Cristofaro interpellato dagli studenti del laboratorio – I ragazzi hanno perso un pezzo della loro formazione». Tra gli intervistati c’è anche Graziella Parisi, psicologa di Gestalt Italy. «Con la Dad abbiamo perso la possibilità di ricevere input in presenza – rincara la dose Parisi – e ciò comporta una carenza di crescita culturale e sociale nei ragazzi che, inevitabilmente, provoca un disagio psicologico». Tra questi c’è «una sintomatologia ansiosa che genera attacchi di panico legati alla paura dell’altro, derivante dalla mancanza di affetto e di contatto umano». Perché, prosegue De Cristofaro, «una scuola senza relazioni non è una scuola». Al contempo, il sindacalista dei docenti non manca di fare autocritica. «Noi insegnanti – dice – abbiamo sbagliato a pensare che con la Dad si potesse riproporre il setting della scuola tradizionale». Per questo, per De Cristofaro, «dobbiamo provare a cambiare la scuola che anche prima della didattica a distanza non andava bene – ammette il docente – Adesso, dobbiamo provare a crearne una migliore in presenza».