Rubrica. Il cucchiaio nelle orecchie/Le pale di padre Pio

Il minimo che si possa chiedere a una scultura, ha scritto Dalì, è di non muoversi. Anche quel geniaccio ogni tanto perdeva colpi, soccombendo all’effetto della battuta non prendeva in considerazione, per regale invidia, i mobiles di calder, l’olografia, il mimo bianco di Edward Carrey fisso in Observatory Mansion, l’incisione virtuale che ogni possessore di ordinari software può permettersi. Non aveva concesso cittadinanza costituzionale nemmeno alla serialità, a alcuna delle opere d’arte nel tempo della loro riproducibilità tecnica, né previsto le pale eoliche né le statue di Padre Pio che, adesso spiegherò, anche loro si muovono. Dalì del resto non avrebbe potuto condividere il concetto di caducità, oggi accelerato in nanosecondi nella televisione subliminale, seduto sul trono d’oro e stabile del suo improfanabile genio. Ma a noi è concesso profanare? Se non il trono di Dalì, la serialità industriale delle pale che insanguinano di sangue bianco le cime delle dolci, purtroppo docili montagne siciliane, che le insanguinano del sangue bianco e pennuto degli aquilotti e perfino dei cattivi gabbiani. L’europa non sa che per il settanta per cento l’Italia è un paese montuoso, che per il settanta per cento non può adottare le misure previste dalla carta delle misure, i politici italiani lo sanno ma tacciono, facinorosamente ci dicono di cogliere le olive con macchinette che si capovolgono a ogni sasso, l’Italia non è padania né bavaria. Ma le statue di padre Pio camminano, non si capovolgono, di paese in paese, sempre uguali, senza contributi europei come bobcat inarrestabili, sempre offensive a ogni angolo di paesaggio a ogni angolo storicamente monumentale a ogni angolo e basta. Pesano sui bilanci dei comuni, non dei bpt europei, pesano come bronzi, come pietre come marmi da 600 a 3550 libbre sui bilanci comunali. Pesano come nelle stanze degli uffici pubblici e privati i calendari o le fotocopie della sua faccia, bruttine di colore bianconero, malincollate alle pareti, talvolta pesano anche tra le praline del portatelefonino rosa di talune romantiche impiegate. Sono biglietti da visita garentiti, qui in Sicilia diciamo garentiti, presto aprirò un biscottificio e la formella sarà il corpo di Padre Pio, il primo mozzicone darà lo stesso piacere dell’ingoio d’ostia, presto produrrò ostie con lo stampino di Padre Pio. Tutto si muove tra i denti, nella nostra pancia. Tutto si trasforma in vita futura. Non c’è scultura che non si muove, anche le sculture hanno regolarmente il bisogno di fare i loro bisogni. E quando la fanno, Dalì, anche nel buio notturno di un museo, si muovono. Io le ho viste camminare di notte, lucenti e lunari nella loro perfetta risonanza bronzea, un miracolo, e ogni notte le seguo e ogni notte tento di eliminarne qualcuna, inseguendole su per le montagne e in cima scagliandole sulle pale eoliche. Miracolo. Padre Pio richiamato al cielo grazie a una pala eloica. In voto, porto sotto una di queste pale la mia gallina, la lancio, allarga le ali ma poi si ricorda di non avere forza di volare alto e torna a beccarmi le punte dei piedi. Santi animali.


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Il minimo che si possa chiedere a una scultura, ha scritto dalì, è di non muoversi. Anche quel geniaccio ogni tanto perdeva colpi, soccombendo all’effetto della battuta non prendeva in considerazione, per regale invidia, i mobiles di calder, l’olografia, il mimo bianco di edward carrey fisso in observatory mansion, l’incisione virtuale che ogni possessore di ordinari software può permettersi. Non aveva concesso cittadinanza costituzionale nemmeno alla serialità, a alcuna delle opere d’arte nel tempo della loro riproducibilità tecnica, né previsto le pale eoliche né le statue di padre pio che, adesso spiegherò, anche loro si muovono. Dalì del resto non avrebbe potuto condividere il concetto di caducità, oggi accelerato in nanosecondi nella televisione subliminale, seduto sul trono d’oro e stabile del suo improfanabile genio. Ma a noi è concesso profanare? se non il trono di dalì, la serialità industriale delle pale che insanguinano di sangue bianco le cime delle dolci, purtroppo docili montagne siciliane, che le insanguinano del sangue bianco e pennuto degli aquilotti e perfino dei cattivi gabbiani. L’europa non sa che per il settanta per cento l’italia è un paese montuoso, che per il settanta per cento non può adottare le misure previste dalla carta delle misure, i politici italiani lo sanno ma tacciono, facinorosamente ci dicono di cogliere le olive con macchinette che si capovolgono a ogni sasso, l’italia non è padania né bavaria. Ma le statue di padre pio camminano, non si capovolgono, di paese in paese, sempre uguali, senza contributi europei come bobcat inarrestabili, sempre offensive a ogni angolo di paesaggio a ogni angolo storicamente monumentale a ogni angolo e basta. Pesano sui bilanci dei comuni, non dei bpt europei, pesano come bronzi, come pietre come marmi da 600 a 3550 libbre sui bilanci comunali. Pesano come nelle stanze degli uffici pubblici e privati i calendari o le fotocopie della sua faccia, bruttine di colore bianconero, malincollate alle pareti, talvolta pesano anche tra le praline del portatelefonino rosa di talune romantiche impiegate. Sono biglietti da visita garentiti, qui in sicilia diciamo garentiti, presto aprirò un biscottificio e la formella sarà il corpo di padre pio, il primo mozzicone darà lo stesso piacere dell’ingoio d’ostia, presto produrrò ostie con lo stampino di padre pio. Tutto si muove tra i denti, nella nostra pancia. Tutto si trasforma in vita futura. Non c’è scultura che non si muove, anche le sculture hanno regolarmente il bisogno di fare i loro bisogni. E quando la fanno, dalì, anche nel buio notturno di un museo, si muovono. Io le ho viste camminare di notte, lucenti e lunari nella loro perfetta risonanza bronzea, un miracolo, e ogni notte le seguo e ogni notte tento di eliminarne qualcuna, inseguendole su per le montagne e in cima scagliandole sulle pale eoliche. Miracolo. Padre pio richiamato al cielo grazie a una pala eloica. In voto, porto sotto una di queste pale la mia gallina, la lancio, allarga le ali ma poi si ricorda di non avere forza di volare alto e torna a beccarmi le punte dei piedi. Santi animali.

Il minimo che si possa chiedere a una scultura, ha scritto dalì, è di non muoversi. Anche quel geniaccio ogni tanto perdeva colpi, soccombendo all’effetto della battuta non prendeva in considerazione, per regale invidia, i mobiles di calder, l’olografia, il mimo bianco di edward carrey fisso in observatory mansion, l’incisione virtuale che ogni possessore di ordinari software può permettersi. Non aveva concesso cittadinanza costituzionale nemmeno alla serialità, a alcuna delle opere d’arte nel tempo della loro riproducibilità tecnica, né previsto le pale eoliche né le statue di padre pio che, adesso spiegherò, anche loro si muovono. Dalì del resto non avrebbe potuto condividere il concetto di caducità, oggi accelerato in nanosecondi nella televisione subliminale, seduto sul trono d’oro e stabile del suo improfanabile genio. Ma a noi è concesso profanare? se non il trono di dalì, la serialità industriale delle pale che insanguinano di sangue bianco le cime delle dolci, purtroppo docili montagne siciliane, che le insanguinano del sangue bianco e pennuto degli aquilotti e perfino dei cattivi gabbiani. L’europa non sa che per il settanta per cento l’italia è un paese montuoso, che per il settanta per cento non può adottare le misure previste dalla carta delle misure, i politici italiani lo sanno ma tacciono, facinorosamente ci dicono di cogliere le olive con macchinette che si capovolgono a ogni sasso, l’italia non è padania né bavaria. Ma le statue di padre pio camminano, non si capovolgono, di paese in paese, sempre uguali, senza contributi europei come bobcat inarrestabili, sempre offensive a ogni angolo di paesaggio a ogni angolo storicamente monumentale a ogni angolo e basta. Pesano sui bilanci dei comuni, non dei bpt europei, pesano come bronzi, come pietre come marmi da 600 a 3550 libbre sui bilanci comunali. Pesano come nelle stanze degli uffici pubblici e privati i calendari o le fotocopie della sua faccia, bruttine di colore bianconero, malincollate alle pareti, talvolta pesano anche tra le praline del portatelefonino rosa di talune romantiche impiegate. Sono biglietti da visita garentiti, qui in sicilia diciamo garentiti, presto aprirò un biscottificio e la formella sarà il corpo di padre pio, il primo mozzicone darà lo stesso piacere dell’ingoio d’ostia, presto produrrò ostie con lo stampino di padre pio. Tutto si muove tra i denti, nella nostra pancia. Tutto si trasforma in vita futura. Non c’è scultura che non si muove, anche le sculture hanno regolarmente il bisogno di fare i loro bisogni. E quando la fanno, dalì, anche nel buio notturno di un museo, si muovono. Io le ho viste camminare di notte, lucenti e lunari nella loro perfetta risonanza bronzea, un miracolo, e ogni notte le seguo e ogni notte tento di eliminarne qualcuna, inseguendole su per le montagne e in cima scagliandole sulle pale eoliche. Miracolo. Padre pio richiamato al cielo grazie a una pala eloica. In voto, porto sotto una di queste pale la mia gallina, la lancio, allarga le ali ma poi si ricorda di non avere forza di volare alto e torna a beccarmi le punte dei piedi. Santi animali.

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