Rubrica/Autonomia-Ragionando sull’articolo 38

La fotografia che accompagna questo articolo ritrae un’opera di Enzo Patti

Nella mia posta elettronica trovo la lettera di un lettore che poi è un mio amico. Edward Stein, in realtà, è amico di un mio caro amico che lavora a New York. Ci siamo conosciuti un paio di anni fa, a Porto Palo di Pachino. Edward, che non è di origine siciliana, è un appassionato di storia e di storia della Sicilia. Parla e legge correntemente l’italiano. La sua è una passione per l’Italia e, in particolare, per la nostra terra. Ecco cosa mi scrive:

“Caro Giulio, leggo sempre il tuo giornale on line. Mi collego ogni mattina e, con grande piacere, trovo spesso articoli sulla storia della Sicilia e sull’Autonomia siciliana. Apprezzo molto la rilettura del Risorgimento che state portando avanti e mi auguro che il tuo giornale continui ad approfondire questi temi.
Tuttavia, un appunto lo devo fare. Il tuo giornale, almeno fino ad oggi, non ha dedicato spazio all’articolo 38 dello Statuto siciliano. E’ un fatto casuale? O è frutto di una scelta editoriale? Sono sicuro che mi fornirai una risposta esauriente.

tuo Edward”

Ecco la mia risposta:

caro Edward,
qualche settimana fa mi ero riproposto di scrivere una riflessione sull’articolo 38 dello Statuto. Poi gli eventi hanno preso il sopravvento. Oggi che ho un po’ di tempo libero ti rispondo con piacere. Con una premessa: confessando che non sono stato mai un fan dell’articolo 38 dello Statuto.
Nato in un a casa dove non mancavano certo i libri sulla storia della Sicilia, cresciuto a contatto con la politica regionale, visto che mio padre, alla fine, è di politica e di amministrazione regionale che si occupava, ho avuto anche la fortuna di conoscere un sacco di politici siciliani, compresi vari presidenti della Regione. E anche qualche amico di mio padre appassionato di storia dell’autonomia siciliana: e perfino qualche protagonista della stagione subito successiva alla conquista dell’Autonomia da parte della Sicilia.
Ebbene, dalle cose che ho letto, che di certo sono insufficienti, perché avrei potuto leggere e approfondire di più certi argomenti, e dalle testimonianze che ho avuto la fortuna di raccogliere e che non starò qui a descrivere – perché non basterebbe certo una risposta-articolo che già rischia di essere noiosa – ho maturato una convinzione assolutamente personale: e cioè che l’articolo 38 dello Statuto, forse, ha avuto una propria ragione economica, culturale e politica quando venne pensato: ragione e importanza che, però, con il passare degli anni si sono vieppiù affievolite.
E questo lo dico al netto di un mio pregiudizio. Allora: prima espongo il mio pregiudizio, poi cercherò di descrivere, a mio modesto modo di interpretare le cose, quello che potrebbe essere successo dagli anni ‘50 del secolo scorso fino ad oggi.
Il mio pregiudizio si sintetizza nel seguente ragionamento: l’articolo 38 è la parte dello Statuto autonomistico siciliano meno autonomista. Secondo il padre di questo articolo 38, Enrico La Loggia (per inciso, in tanti libri di mio padre scritti da La Loggia si leggeva “Errico La Loggia” con due erre e non Enrico) – che, ricordo, feceva l’avvocato ma era e restava un economista fino al midollo – lo Stato italiano avrebbe dovuto riconoscere di avere sbagliato dal 1860 in poi. Leggiamo insieme questo articolo dello Statuto: “Lo Stato verserà annualmente alla Regione, a titolo di solidarietà nazionale, una somma da impiegarsi, in base ad un piano economico, nell’esecuzione dei lavori pubblici. Questa somma tenderà a bilanciare il minore ammontare de redditi da lavoro nella Regione in confronto della media nazionale. Si procederà a una revisione quinquennale della detta assegnazione con riferiento alle variazioni dei dati assunti per il precedente computo”.
Lo Stato, riconoscendo i propri errori, “riparava” intervenendo ogni anno con una certa somma da spendere in Sicilia per la realizzazione di lavori pubblici. Chi ha pensato questo articolo lo ha fatto, in primo luogo, per sedare un sentimento autonomista che, in quegli anni, era molto radicato in Sicilia. C’entrava un’idea separatista allora ancora presente e diffusa? Forse. Ma c’era, anche, un’idea di Autonomia incentrata più sulle potenzialità della Sicilia che non sugli aiuti delo Stato.
Un esempio di autonomista sinceramente convinto delle potenzialità della Sicilia è stato l’ingegnere Domenico La Cavera. Di certo, non tutte le sue intuizioni sono state felici. Ma c’era, nella sua nobile idea della Sicilia, la voglia di far venire fuori le capacità, culturali prima che economiche, dei siciliani.
Ora, con tutto il rispetto per Enrico – o Errico – La Loggia, l’articolo 38, soprattutto in quegli anni, affievoliva un po’ questa voglia di rivalsa culturale ed economica, dando – piaccia o no – l’idea di una Sicilia che da sola non ce l’avrebbe fatta: che ci sarebbe stato bisogno chissà per quanto tempo dell’intervento dello Stato: che senza un intervento esterno la Sicilia sarebbe rimasta indietro.
Ovviamente, non è stato così. Però, se ci riflettiamo, quando La Cavera comincia la sua battaglia – anche in questo caso, culturale prima che politica – per affrancare gli industriali siciliani dell’epoca dal giogo della grande industria nazionale, la risposta che riceveva dai suoi colleghi industriali del Nord, che volevano ‘calare’ in Sicilia per farsi i cavoli loro – cosa che poi hanno fatto e che continuano a fare, ad esempio, con le raffinerie della provincia di Siracusa e, tra qualche anno, con il rigassificatore a Porto Empedocle – era la seguente: ingegnere, di che si lamenta? Lo Stato vi dà ogni anno un sacco di soldi grazie a questo vostro Statuto. E allora tenetevi i soldi dello Stato e lasciateci lavorare!
Chiuso il ragionamento sul pregiudizio, vorrei dire che questo benedetto articolo 38, di fatto, è stato applicato sempre male e, per un certo periodo di tempo, è stato persino dimenticato. E’ stato applicato male perché la parametrazione – ovvero il calcolo delle somme da assegnare alla Sicilia – è stata sempre strana. Tant’è vero che le somme non sono mai state significative, soprattutto a partire dalla fine degli anni ‘60. Per non parlare degli anni ‘80, quando è completamente scomparso.
Un altro elemento poco studiato -che comunque meriterebbe di essere approfondito meglio, magari in un altro intervento – è il rapporto tra articolo 38 dello Statuto e Cassa per il Mezzogiorno. In parole semplici, rispetto a certi interventi della Cassa per il Mezzogiorno, l’articolo 38 perdeva significato. Lo ripeto: in questo intervento non possiamo esaurire un tema complesso. Tuttavia – volendo gettare una domanda così, a mo’ di provocazione, mi chiedo e chiedo: quante opere pubbliche sono state realizzate in Sicilia dal 1950 al 1978 (il 1978 non è un anno che scelgo a caso, perché con la presidenza della Regione di Piersanti Mattarella molte cose cominciano a cambiare, trattandosi di un presidente che ha mosso veramente ordine nel’amministrazione regionale, a cominciare da lavori pubblici) con la Cassa per il Mezzogiorno? E quante con i fondi dell’articolo 38?
Il tema che si apre è difficile e complesso. Se ho voluto inserirlo nel quadro del mio ragionamento è perché sono convinto che, con il passar degli anni, l’articolo 38 ha creato, alla Sicilia, più problemi che benefici. Ho citato il caso di La Cavera, ma potrei citare altri casi.
Inserisco anche una breve riflessione sugli anni ‘80. Nei primi anni ‘80 scompare la Cassa per il Mezzogiorno. Il Parlamento nazionale impiegherà oltre 5 anni per sostituirla con l’Agensud e con il Dipartimento per il Mezzogiorno. Ebbene, in cinque anni di assenza di interventi straordinari nel Sud (a parte gli interventi di ‘coda’, in Sicilia, peraltro, poco significativi), l’articolo 38 avrebbe dovuto tornare in auge.
Certo, ci sono state le guerre di mafia e i grandi delitti di mafia. Ma c’è stata, anche, una stagione ricca di grandi fermenti culturali e politici. Penso al movimento pacifista creato da Pio La Torre insieme con tanti gruppi cattolici dell’Isola: un’alleanza che, contrariamente a quello che si pensa, guardava oltre il “no” ai missili Cruise, ipotizzando uno sviluppo economico con gli imprenditori siciliani non condizionati dalla mafia (è Pio La Torre che avvia, in quegli anni, un dialogo con gli imprenditori, invitandoli a rifiutare la logica del ‘pizzo’: e forse è anche per questo che dava fastidio, soprattutto al mondo di una certa imprenditoria agricola che viveva di grandi truffe alla Cee). Penso al congresso della Dc di Agrigento, anno di grazia 1983, una stagione di grande progettualità politica. Con atti di coraggio (Vito Ciancimino buttato fuori dal partito). E con un’idea di sviluppo incentrata sulla risoluzione di problemi storici, a cominciare dalle infrastrutture idriche.
Cosa voglio dire? Voglio dire che, in quegli anni, i presupposti per un rilancio dell’articolo 38 dello Statuto c’erano tutti. Eppure, questo argomento non entrerà mai nel dibattito politico di quegli anni, se non casualmente.
Dal 1986 in poi, con l’arrivo dei grandi flussi finanziari nazionali e dei primi fondi europei, nessuno farà più cado a uest’ articolo dello Statuto. E nessuno se ne ricorderà negli anni di Tangentopoli e Mafiopoli.
L’argomento ritorna nel 1996, quando la Regione comincia a ragionare sul precariato creato in alcune città siciliane (Palermo e Catania in testa). E riprende nel 2001. Ma riprende tra alti e bassi. Con un dialogo a singhiozzo con lo Stato. E con operazioni finanziarie che non sembrano fatte per finanziare i lavori pubblici. Anche perché dal 2001 arriva il flusso di Agenda 2000: soldi che la Sicilia impiegherà, magari non bene, ma che, comunque, spenderà quasi tutti (il 95 per cento delle somme disponibili spese). Quanto all’articolo 38, quando se ne parla, beh, se ne parla in termini di possibile spesa corrente, quasi mai in conto capitale.
E oggi? E’ ancora giusto discutere di articolo 38? Abbiamo i fondi europei, ma non li utilizziamo. Certo, sono ‘macchinosi’ e Bruxelles non fa nulla per semplificarli. Qualche giorno fa il mio amico Gabriele Bonafede – che è molto più competente di me, essendo lui un valente economista – ha lanciato la proposta: trasformare i fondi europei da risorse per investimenti controllati e verificati, in finanza di ‘cassa’, a disposizione dell’amministrazione regionale. Il mio timore è che la politica siciliana – quella che c’è per ora di sicuro, quella che verrà pure – trasformi questi flussi finanziari europei, una volta diventati ‘cassa’, in precariato, clientele sanitarie, forestali che non ‘forestano’ un tubo e via continuando con la spesa pubblica improduttiva.
Che significa questo? Che se oggi dovessero spuntare fondi articolo 38 non verrebbero utilizzati per infrastrutture, ma come spesa pubblica. Nessuno mi leva dalla testa che la politica siciliana non ha alcuna intenzione di far progredire la Sicilia. Perché è sul bisogno che, ancora oggi, si costruiscono le fortune politiche. Sotto questo profilo, l’esperienza dei protagonisti dell’Mpa è illuminante: hanno cominciato con il rilancio dell’Autonomia e stanno scomparendo andando dietro al precariato, alle clientele e all’ascarismo (il rigassificatore di Porto Empedocle che non serve alla Sicilia). Ma questo con l’articolo 38 c’entra solo in parte. O quasi.

 


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