«Il martirio del servo di Dio Rosario Angelo Livatino, fedele laico», recita così l’intestazione che da oggi decreta la beatificazione di Rosario Livatino, ucciso a soli 38 anni dalla Stidda, organizzazione mafiosa che opera tra Agrigento e Caltanissetta e Palermo. La funzione di beatificazione del giudice ragazzino si terrà stamane nella cattedrale di Agrigento, dove davanti a poco più di 200 partecipanti sarà esposta la camicia azzurra che indossava il 21 settembre del 1990, quando venne trucidato, su ordine di quattro mandanti, mentre sulla sua Ford Fiesta rossa da Canicattì stava raggiungendo il tribunale di Agrigento. Livatino, tutore della legge di profonda fede cattolica, è stato definito un martire della giustizia e della fede. In questi giorni la curia di Agrigento ha ottenuto in affidamento temporaneo la camicia che, oltre a testimoniare il suo sacrificio, è stata un reperto utile nel corso delle indagini, comparendo spesso durante i processi nella corte d’Assise di Caltanissetta.
Quella di Livatino è stata una vita consumata in fretta, ma piena di successi. Dopo essersi laureato con lode in Giurisprudenza nel 1975, nel 1978 fu vicedirettore in prova presso l’ufficio Registro di Agrigento, per poi superare il concorso di magistrato e diventare sostituto procuratore. Nella sua carriera da magistrato si era occupato della tangentopoli siciliana, colpendo duramente gli affari dei clan tra Porto Empedocle e Palma di Montechiaro. Impegnato nell’azione cattolica e a servizio della comunità, il giudice non ha mai accantonato gli insegnamenti del vangelo. A testimoniarlo sono le agende ritrovate dopo la sua morte, dove ritorna spesso la frase «in sub tutela dei», con cui il giovanissimo uomo di legge si rimetteva nelle mani di Dio, invocando il suo sostegno nel difficile compito che lo attendeva.
A trasparire sempre nelle sue azioni quotidiane era l’umanità, che gli permetteva di guardare in faccia i delinquenti, senza mai fare un passo indietro. Davanti ai soggetti giudicati colpevoli o rimasti uccisi in un delitto di mafia, Livatino diceva sempre che per loro bisognava pregare. In molte occasioni è stato lui stesso a consegnare gli avvisi di scarcerazione ai detenuti. Partendo dal suo esempio, nel 1993, papa Giovanni Paolo II ha pronunciato il famoso «convertitevi», rivolto ai mafiosi. La figura di Livatino è stata definita «un punto luminoso» da papa Francesco per il suo coraggio. Il suo processo di beatificazione era iniziato nel 2011 e adesso è arrivato, passando anche da alcune polemiche. Alla fine del 2020, infatti, aveva preso piede l’idea che la sua salma potesse essere trasferita ad Agrigento. L’ipotesi portata avanti dall’arcivescovo metropolita Francesco Montenegro aveva fatto montare le proteste da parte dei cittadini di Canicattì, città dalla quale Livatino non aveva mai voluto staccarsi. Al momento, però, l’iidea non sembra potersi concretizzare. «Abbiamo sospeso ogni discussione sull’eventuale traslazione, di comune accordo con l’arcidiocesi di Agrigento – afferma il sindaco di Canicattì Ettore Di Ventura – Il corpo resterà nella cappella di famiglia nel cimitero di Canicattì, come chiaramente espresso dalla comunità. A un certo punto si erano alzati un po’ i toni, noi faremo il possibile perché tutto rimanga così com’è».
Adesso la cittadina si prepara al momento di festa legata all’avvenimento religioso. «Le restrizioni legate al Covid non aiutano – continua il sindaco – Ieri sera c’è stato un momento di preghiera nella chiesa di San Domenico, frequentata da Livatino, poi ci siamo spostati fino alla casa del giudice, dove è stata proiettata un’immagine del giudice, che rimarrà fino al prossimo 21 settembre». Alla cerimonia nella cattedrale di Agrigento parteciperà pure una piccola delegazione di Canicattì. «Quello che è avvenuto è il giusto tributo a Rosario Livatino – sottolinea Di Ventura – Momenti come questi sono necessari a dire che la lotta alla mafia continua. Purtroppo la nostra città è salita alle cronache per degli arresti dello scorso febbraio, ma questa è la giusta risposta». Quella a cui fa riferimento il sindaco è l’operazione Xidy, che il 2 febbraio ha mandato in carcere 23 persone accusate di associazione mafiosa: tra i nomi eccellenti figuravano il super latitante Matteo Messina Denaro e Antonio Gallea, condannato proprio per essere uno dei mandanti dell’omicidio di Livatino.
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