I pupi siciliani volano in Romania: lì incontrano la videoarte e ripudiano la guerra

Una mostra che racconta la storia dei pupi siciliani e lancia un messaggio pacifista: tutto con il supporto della videoarte. Il titolo dell’iniziativa, che è in corso al Museo-Laboratorio-Scuola di Piscu, piccolo Comune della Romania, è Pupi videodrome. La mostra è organizzata dal Museo internazionale delle Marionette Antonio Pasqualino – che si trova a Palermo – ed è stata curata dal suo direttore, Rosario Perricone. «Quello tra pupi siciliani e videoarte è un binomio assolutamente inedito», dice Perricone a MeridioNews. In estrema sintesi, nella videoarte si usa il video – nelle sue varie declinazioni – come strumento creativo. La mostra «l’avevo elaborata già alcuni anni fa – aggiunge il curatore, che spiega di averla costantemente aggiornata e arricchita – ora finalmente abbiamo avuto l’opportunità di realizzarla». Ma come mai proprio in Romania?

«Nel 2020 – racconta Perricone – ho fatto un progetto di ricerca sull’opera dei pupi, che mi è stato commissionato dall’Unesco», l’Organizzazione delle nazioni unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura. «Si tratta di un piano mastodontico e pluriennale, che si è concretizzato con la connessione e l’interazione di tutte le compagnie siciliane che hanno partecipato; ci sono state molte riunioni e tavoli di lavoro, soprattutto durante la pandemia. Nel 2022 a Praga, in Repubblica Ceca, il progetto ha ricevuto da Europa Nostra (la federazione pan-europea per il patrimonio culturale, ndr) il premio come miglior progetto di ricerca europeo sul patrimonio immateriale. In quell’occasione – continua Perricone – abbiamo incontrato molte realtà. Nello specifico ci è sembrato molto interessante il lavoro che faceva un gruppo di persone della Romania che lavorava la ceramica; ma la cosa che più ci ha attratto è stata il tipo di lavoro che hanno fatto con i ragazzi e con le persone, perché a noi interessa molto l’aspetto della partecipazione comunitaria a questo tipo di attività. E in questo gruppo – aggiunge Perricone – c’era l’artista rumeno che sta ospitando la nostra mostra. Mi è sembrato il gruppo giusto per tenere insieme il contemporaneo, la partecipazione e il rispetto della pratica tradizionale e della manualità».

Pupi videodrome si compone di due parti. «La prima racconta la storia dei pupi – dice il curatore della mostra al nostro giornale – Ci sono dei cartelli didascalici che spiegano con un’impostazione didattica classica, mentre dopo c’è un’immersione nel mondo dell’arte contemporanea, che mi sembra molto utile per comprendere gli stravolgimenti dell’oggi». Qui entrano in gioco i video e le sperimentazioni, tanto che a un certo punto appaiono dei pupi siciliani senza armatura e senza testa. «Sono accatastati su un cumulo di frumento, che si trova dentro una grande vasca che in Romania serviva per impastare il pane. I pupi sono divelti e disarmati, per dare un forte segnale contro questa follia contemporanea della guerra». Per Perricone «il messaggio di ripudio della guerra è fondamentale. Il tema dell’opera dei pupi potrebbe in effetti sembrare la guerra, ma in realtà il tema vero è l’amore, perché la guerra viene fatta per l’amore – spiega il curatore – Ma quello che dico sempre ai ragazzi è di ricordarsi che, dopo le battaglie e gli scontri, l’indomani i pupi rinascono sul palcoscenico, sempre». A proposito di rinascita, l’allestimento si conclude con il video di un artista palermitano, Enzo Venezia, che è stato realizzato nel 2005.

«Quello di Venezia è uno dei primi lavori fatti con la video-scomposizione – spiega Perricone – Tra i monumenti scomposti e poi ricomposti c’era un pupo siciliano. Alla fine della mostra, in una sala a parte, viene proiettato un video in cui si vede l’esplosione del pupo e la sua ricomposizione: il senso è che se le cose implodono, poi possono rinascere. Il video si chiama Resurrection e mi sembra la giusta chiusura di Pupi videodrome, perché dà il giusto tono a tutto». Ma se facciamo un passo indietro fino a metà allestimento, troviamo un altro elemento cruciale, che «fa da cesura tra le due componenti della mostra: è un oculus di realtà virtuale dentro il quale chi visita la mostra può vedere lo spettacolo dell’opera dei pupi dal palcoscenico, dalla visuale del pupo. Quindi – spiega Perricone – vedi il puparo che muove i fili e ti giri quando senti i rumori. È un’esperienza che ti fa entrare completamente in questo mondo». Ma non è l’unica esperienza immersiva di Pupi videodrome.

«Kevin Atherton – che è un videoartista sin dagli anni Sessanta – ha realizzato un’opera nella quale proietta le sue performance di allora che si mettono in dialogo con lui di oggi – racconta Perricone – Poi abbiamo realizzato dei pupi col suo viso, da giovane e da vecchio. Si tratta di una performance bella e avvolgente, perché è proiettata su quattro schermi, con il pubblico al centro». Per l’inaugurazione di Pupi videodrome, che si è tenuta il 2 marzo, «c’erano più di 200 persone, tutte molto colpite dalla connessione tra un lavoro prettamente artigianale e tutta la questione che riguarda il contemporaneo, quindi la videoarte». Ma oltre alla questione dei numeri, per Perricone è importante che passi un messaggio: «Quello che dico ai ragazzi quando insegno all’Accademia di Belle Arti è che i musei non sono solo luoghi dove si custodiscono oggetti, ma luoghi nei quali si creano relazioni e si agisce sul contesto sociale. Qualsiasi cosa faccia un museo – conclude – anche non fare niente, non è un’azione neutrale, ma significa comunque prendere posizione su un argomento. E sul tema della guerra la nostra posizione è molto chiara».


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