Il secondo libro dell'autore catanese racconta la storia di un movimento di disoccupati che decidono di lavorare gratuitamente, fingendosi impiegati di grandi catene commerciali, pur di continuare a svolgere un'attività. Un tema caldo sopratutto per il primo maggio
Robledo, il romanzo sulla disoccupazione «L’identità si fonda sul concetto di lavoro»
Il lavoro, la disoccupazione, la perdita e l’annullamento di sé raccontati attraverso una storia a brandelli, una ricostruzione biografica e giornalistica fatta di scritti personali, articoli, pubblicazioni e memorie presumibilmente apocrife strutturate come un complesso gioco di scatole cinesi in cui ogni piano rimanda a una realtà fittizia ma estremamente probabile. Il mondo raccontato dal catanese Daniele Zito nel suo secondo romanzo Robledo, pubblicato da Fazi Editore, assomiglia in tutto e per tutto al nostro, con una narrazione che gioca di continuo sulla possibiltà che i fatti raccontati siano davvero accaduti. «Si tratta di un libro che viene pubblicato in una realtà parallela e che racconta proprio quella realtà, che però è inventata. Anche se a volte penso che ciò che scrivo nel libro potrebbe già stare succedendo davvero», confessa l’autore a MeridioNews, spiegando come la fonte primaria d’ispirazione per lui siano state le persone che lo circondano e l’osservazione delle loro difficili vite.
«Ho pensato a tanti dei miei amici e conoscenti, tutti più o meno nella stessa condizione, soprattutto quelli che hanno condotto studi umanistici e che lavorano gratis. È una pratica che si sta diffondendo sempre di più e spesso mi chiedo: “chi glielo fa fare?” Una delle possibili risposte è la promessa. Promessa – precisa – di un contratto, di un posto di lavoro, di un ritorno, e si tratta di promesse in qualche modo tossiche, sulle quali si fonda la nuova economia. Ma esistono molte altre spiegazioni, perché attorno al concetto di lavoro si fonda l’identità delle persone».
I personaggi del romanzo sono persone comuni che hanno perso il lavoro e che decidono di continuare a lavorare comunque, senza nessun contratto né alcuno stipendio, in maniera totalmente gratuita, infiltrandosi nelle grandi catene commerciali, lì dove è più facile passare inosservati tra i dipendenti. «Sono dei disperati che anziché subire il lavoro gratuito, lo scelgono, per poi spesso decidere di suicidarsi in maniera plateale una volta terminati i loro risparmi», spiega Zito. Le loro storie vengono affidate alla penna di un reporter, Michele Robledo, anch’egli continuamente afflitto dalla precarietà lavorativa, che decide di realizzare un reportage di forte impatto, documentando le vite di questi lavoratori fantasma dall’interno, confondendosi tra loro e in qualche modo diventandolo a propria volta.
Secondo Daniele Zito, quella per il lavoro è una dipendenza di tipo identitario e psicologico: «Tra le tante costruzioni di senso necessarie per arrivare alla fine del mese, il lavoro è la più forte e non lo si può togliere alle persone. Si tratta di un argomento scivoloso e di un concetto dal significato ampio e mutevole. Una volta ad esempio, il lavoro si tramandava di padre in figlio, era praticamente un legame di sangue». «Oggi esistono delle importanti spie linguistiche che rivelano cosa sia diventato il lavoro: da una parte esiste il nome della professione, l’editor ad esempio. Dall’altra, ormai si usa dire “mi occupo di editoria”, che poi significa che devi ricoprire svariati ruoli misti, gratis ovviamente, dal grafico al social media manager, dall’addetto stampa all’assistente per poi, se sei docile, forse, arrivare anche quello dell’editor vero e proprio», continua.
Nella costruzione della struttura narrativa di Robledo, che nonostante alcune affinità l’autore non associa alla letteratura postmoderna, il punto di partenza sono gli studi storici: «I fatti del passato vengono raccontati dai documenti, e gli storici cercano di capire quali tra questi siano affidabili e quali no. Io ho cercato di riprodurre questo meccanismo nella ricostruzione documentaria di un movimento, quello dei ghost worker, pubblicata da altri. Il lettore – afferma – ha un ruolo molto attivo perché deve sforzarsi di capirlo da sé. Non lo definirei un romanzo postmoderno, del quale pur condivido l’inquietudine, semplicemente perché quello mette in discussione la realtà stessa. Mentre io sono convinto che una realtà esista eccome».
“Siamo come mosche. Ogni tanto qualcuno di noi cade dentro una pozzanghera, senza che il mondo se ne accorga, e resta lì a dimenarsi. A volte è un licenziamento, altre la fine di un contratto, altre la semplice depressione; le cause, in fondo, si somigliano tutte, come le cadute del resto”. (Un estratto da Robledo). Appena dato alle stampe, Robledo verrà presentato il 4 maggio da Lettera 82 a Catania per fare poi tappa, nei giorni successivi, a Siracusa, Palermo, Napoli, Milano e approdare al Salone internazionale del libro di Torino.