Rischio idrogeologico, il punto sui pericoli in Sicilia Ispra: «Il 96,7% dei comuni è interessato da criticità»

Oltre alle percentuali c’è di più. È il primo pensiero che viene a chi, tra i siciliani, scorre le oltre duecento pagine del rapporto Ispra sul dissesto idrogeologico. L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale fornisce l’ultima fotografia sullo stato delle cose in Italia, in termini di rischi collegati alla possibilità che i territori siano colpiti da frane, alluvioni ed erosione delle coste. Fenomeni che in molti casi significano anche pericoli per l’incolumità delle persone. «L’incremento delle aree urbanizzate, a partire dal Secondo dopoguerra, spesso in assenza di una corretta pianificazione territoriale, ha portato – si legge nel documento – a un considerevole aumento degli elementi esposti a rischio». I motivi, nell’intero Paese, vanno ricercati nell’aumento delle superfici artificiali – dal 2,7 per cento degli anni Cinquanta al 7,11 per cento del 2020 -, al contemporaneo abbandono delle aree rurali, e all’incidenza dei cambiamenti climatici che, da qualche tempo, iniziano a presentare il conto sotto forma di un aumento della frequenza delle piogge torrenziali

La Sicilia, all’interno delle singole tabelle, si colloca in posizioni non particolarmente scadenti se confrontate con quelle delle altre regioni. Dati che potrebbero sembrare in contrasto con ciò che racconta la cronaca. Soltanto qualche mesi fa, un’alluvione nel Catanese ha causato la morte di tre persone, tra il capoluogo e Scordia, mentre resta fresco il ricordo della tragedia di Casteldaccia (Palermo), causata dall’esondazione del fiume Milicia, e ancora prima la frana che colpì Giampilieri (Messina), nel 2009. «Ci sono due considerazioni da fare. La prima – ha commentato Barbara Lastoria, responsabile Direttive acque e alluvioni in Ispra, intervenendo nel corso della trasmissione radiofonica Direttora d’Aria in onda su Sestarete Tv e Radio Fantastica – è che quella che abbiamo rappresentato è uno stato delle conoscenze attuali, frutto dei dati derivanti dal censimento effettuato dagli enti locali. Poi, vanno considerati gli effetti del fattore antropico, dal consumo di suolo alla mancata manutenzione. In sintesi – ha proseguito Lastoria – possiamo dire che non c’è incompatibilità tra il verificarsi di certi eventi e il livello delle conoscenze attuali che ci dice che la Sicilia non è combinata particolarmente male».

A pesare, quindi, è il fatto che le aree esposte al rischio nel caso dell’isola coincidano quasi sempre con zone abitate. I comuni interessati da criticità legate a possibili frane, alluvioni o con problemi connessi all’erosione costiera sono ben il 96,7 per cento. Tenendo conto soltanto all’indice relativo alla pericolosità idaulica elevata, la Sicilia ha il due per cento di superficie interessata. Sopra la media ci sono le province di Catania e Siracusa, con il 4,6 e il 4,1 per cento, che negli ultimi anni sono state spesso in ginocchio a causa degli allagamenti. «Spesso si interviene come se si puntasse a voler curare il sintomo anziché la malattia – commenta Barbara Lastoria – Parliamo di fenomeni che bisogna affrontare su scala più ampia rispetto al territorio di un singolo comune. Per questo è importante la pianificazione di bacino o distrettuale». A incidere in negativo è spesso la carenza di professionisti specializzati all’interno delle pubbliche amministrazioni. «L’aspetto delle risorse umane è altrettanto importante – sottolinea la ricercatrice – Molti uffici sono ridotti all’osso, mentre occorre personale qualificato. Con il Pnrr ci sono opportunità per correggere lo stato delle cose, ma mi sento di dire – conclude – che serve anche un cambiamento culturale. Anche i cittadini devono imparare ad adottare comportamenti corretti, perché in ballo ci sono interessi comuni».

Quando si parla di frane, a dover essere interpellati dovrebbero essere innanzitutto i geologi. Nei Comuni, però, si fa fatica a trovarne. «Siamo ben lontani dall’averne almeno uno all’interno delle piante organiche di ogni ente locale – ha commentato Davide Siracusano, vicepresidente dell’Ordine dei geologi della Sicilia, anche lui intervenuto a Direttora d’Aria -. Da noi capita purtroppo che la luce sul rischio idrogeologico venga accesa all’indomani delle catastrofi, mentre bisognerebbe anticipare i problemi, sia in termini di messa in sicurezza che di formazione e pianificazione». Guardando ai dati relativi al rischio frana, si scopre che nell’isola ci sono oltre 578 chilometri quadrati esposti a un livello di rischio elevato o molto elevato. Il dato è pari al 2,2 per cento della superficie regionale, ma dal 2017 è cresciuto del 46 per cento. Su scala provinciale, le condizioni peggiori si trovano nelle province di Messina (4,7%) e Palermo (4,6%), seguite da Trapani e Agrigento, rispettivamente con il 2,5 e l’1,7 per cento. Siracusa, Catania, Ragusa, Enna e Caltanissetta si trovano sotto o toccano l’un per cento. 

Queste informazioni assumono un significato ancora più forte incrociandole con quelle riguardanti la popolazione che vive nelle aree più esposte. La Sicilia, da questo punto di vista, è tra le regioni con il numero maggiore di residenti in zone a rischio frane: quasi 90mila 35mila dei quali nel Palermitano – vivono in territori caratterizzati dal livello elevato o molto elevato. Eloquente anche la tabella che raccoglie i numeri sugli edifici a rischio. Anche in questo caso la Sicilia, con oltre 102mila immobili, è tra le regioni più in difficoltà. Oltre 14mila si trovano in provincia di Palermo, più di 10mila nel Messinese. Concentrandosi sui beni culturali, sono più di un migliaio quelli che ricadono in aree a rischio elevato o molto elevato. «Il consiglio dell’Ordine già diversi mesi fa ha lanciato una sfida alla politica: mettere in campo una strategia di prevenzione che passi da nuove assunzioni – ha aggiunto Siracusano -. La macchina amministrativa è dotata di personale anziano, vicino alla pensione. Senza figure adatte, il futuro non sarà roseo». Avere personale qualificato negli uffici può avere anche un ulteriore effetto positivo: «Capita tante volte che in un determinato territorio vengono effettuati gli interventi utili a ridurre la classificazione del rischio, ma le amministrazioni non comunicano tempestivamente i lavori fatti con il risultato che certe limitazioni restino in vigore senza che ce ne sia bisogno. Ciò – spiega Siracusano – può creare effetti negativi anche da un punto di vista economico e turistico».

Una parte rilevante del rapporto Ispra viene dedicato anche allo stato di salute delle coste. Quelle sabbiose, per loro natura, sono le più suscettibili a modifiche. La Sicilia – insieme alla Calabria, alla Sardegna e alla Puglia – è tra quelle più colpite dall’erosione. Le quattro regioni hanno il 61 per cento dei litorali in arretramento di tutto il Paese. I dati raccontano i cambiamenti della linea di costa tra il 2007 e il 2019 e riguardano le coste basse, mentre non comprendono informazioni sull’instabilità dei versanti rocciosi. Fatta questa premessa, si può dire che il 13 per cento delle coste siciliane ha risentito dell’erosione, mentre il 15 per cento ha registrato un avanzamento della linea della costa.


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