Riforma forense, futuri avvocati etnei per il no «Professori sbarrano strada a menti giovani»

Uniti contro la riforma nazionale forense: Catania segue l’esempio delle principali città italiane. Tante le problematiche e le contraddizioni di questa legge, confermate anche dalla stasi dei decreti attuativi, pubblicati in Gazzetta ufficiale e impantanati nelle maglie dei ricorsi amministrativi. Un progetto che non convince associazioni di categoria e ragazzi, su tutto il territorio nazionale. Dopo grandi città come Roma e Napoli, anche Catania, attraverso il Coordinamento No riforma forense, ha gettato le basi per una protesta ufficiale, volta a trovare soluzioni alternative per ovviare ad un problema tanto annoso quanto datato: il sovrannumero di avvocati.

Giuseppe Condorelli e Valeria Franco, referenti catanesi del comitato nazionale, hanno chiamato a raccolta studenti, laureandi, praticanti e chiunque avesse a cuore l’argomento, tanto dibattuto a livello nazionale, ma ancora poco conosciuto a livello locale. Un flash mob in via Roccaromana e un’assemblea all’aperto, davanti a Villa Cerami, sono stati i primi incontri ufficiali tra ragazzi. La strada è ancora lunga, come confermato da Franco: «Siamo ancora agli inizi, è normale che ancora i partecipanti non siano tanti, ma continueremo a batterci. L’obiettivo è bloccare la riforma attraverso l’alternativa di una controriforma, progetto del quale stiamo discutendo con il Movimento 5 Stelle».

L’esame di abilitazione potrebbe essere reso ancora più ostico dalla riforma, nonostante il numero già esiguo di partecipanti che riescono a superare la prova. Meno ore e niente codici commentati dal 2017, una privazione importante, che getta nello sgomento i dottori in Legge. La strada già scoscesa e ricca di ostacoli dei praticanti avvocati potrebbe essere resa ancora più impervia dalla previsione di una obbligatoria iscrizione e frequenza ai corsi di formazione a pagamento, tenuti dai rispettivi Consigli dell’ordine, dal Consiglio nazionale forense, dalla Scuola superiore dell’avvocatura e dalle associazioni forensi. Corsi peraltro con test d’ingresso, rapportati alla votazione riportata in sede di laurea.

«Il problema risiede, tra le altre cose, nel conflitto di interessi che sta dietro questa riforma, un conflitto che diventa anche generazionale. Docenti universitari che svolgono contestualmente la professione di avvocato, professori che sbarrano la strada alle menti giovani solo perché potenziali concorrenti per il futuro, non c’è ricambio», afferma Valeria Franco. Ma non è tutto: la legge del 2012 prevede altre disposizioni piuttosto controverse su cui porre l’attenzione. La soppressione della figura del praticante avvocato abilitato e la verifica al termine dei corsi di formazione obbligatori attraverso un esame molto simile a quello di abilitazione sono solo alcuni punti. Invece di agire a monte, introducendo un effettivo numero chiuso per l’accesso alla facoltà di Giurisprudenza, si agisce a valle, incrementando la difficoltà di un esame già proibitivo. Per arrivare al paradosso del suo raddoppio.

Inoltre l’annoso argomento del rimborso spese per i praticanti avvocati, previsto, ormai da tempo da diverse normative ma mai sanzionato come obbligo. La riforma prevede una disposizione apposita, che sia la volta buona? Anche perché, particolare non irrilevante, con i soldi di questi rimborsi spese, si dovranno pagare i costosi corsi di formazione. La riforma del 2012 prevede però anche disposizioni apprezzabili, come confermato da Valentino Coppola, praticante avvocato: «La previsione della possibilità di poter anticipare sei mesi di tirocinio durante il corso di laurea è interessante. Purtroppo non sembra essere stata riportata nei decreti attuativi. Occorrerebbe, per la nostra tutela, uno statuto dei praticanti avvocati».

Diverse le iniziative per provare a smuovere coscienze e masse: «Abbiamo avviato una petizione online e una raccolta firme per opporci alla riforma forense, stiamo provando con interrogazioni parlamentari ma i tempi sono lunghi e il massimo che puoi ottenere è una risposta in Parlamento – aggiunge Valeria Franco – Al momento non abbiamo avuto alcun contatto con la facoltà di Giurisprudenza di Catania ma contiamo al più presto di chiedere un’autorizzazione per poter svolgere un’assemblea al suo interno. Sto riuscendo a coinvolgere anche alcuni avvocati di Bronte che sono disposti a partecipare».


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