Con l’avvento del governo presieduto dal senatore Mario Monti sta passando nel dibattito pubblico una vulgata assai pericolosa per la democrazia: il governo tecnico è in grado di fare le cose che un governo politico ha difficoltà a fare. Si afferma, cioè, che un governo (e un parlamento) eletto non è capace quanto lo è un governo non eletto, ma semplicemente nominato dall’alto e, perciò stesso, ‘autoritario’. Oltre che, nel caso in questione, autorevole.
Se questo convincimento ha un fondamento nella moderna cultura della democrazia, diciamo subito e forte: ridateci la Prima Repubblica, i partiti di quel tempo e quella tensione democratica che oggi stiamo perdendo e senza la quale stiamo degradando verso prospettive dai contorni democratici assai sbiaditi. Quei parlamenti e quei governi in meno di vent’anni hanno portato il Paese Italia da nazione distrutta al boom economico; hanno saputo affermare la concezione laica dello Stato; hanno portato l’Italia a promuovere l’idea e l’avvio concreto dell’Unità europea; hanno portato il nostro Paese a sedere stabilmente tra le potenze industriali del mondo.
Da quando quel sistema – che vedeva il parlamento al centro del dibattito e delle scelte strategiche della politica nazionale – è stato modificato, l’Italia è in continuo degrado su tutti i versanti e in tutte le graduatorie internazionali. Ha persino rotto il tabù contenuto nell’articolo 11 della Carta costituzionale, andando a fare la guerra alla Serbia che difendeva la sua integrità territoriale per consegnare il Kosovo alla mafia albanese.
In quel tempo la partecipazione popolare alla politica era più impegnata, perché l’elettore si riconosceva nel suo partito di riferimento (la partecipazione al voto era prossima all’80 per cento); adesso la gran parte dell’elettorato esprime il proprio voto ‘a dispetto’: voto uno schieramento non perché mi sento da esso rappresentato, ma perché non voglio che vinca lo schieramento opposto che mi è antipatico. Infatti, tutti i sondaggi danno lo stesso esito: più del 50 per cento dell’elettorato si esprime contro la partecipazione al voto nelle forme più diverse, dall’astensione alla scheda bianca o all’indeterminatezza.
Non è quindi rispondente al vero che la democrazia non è capace di realizzare le riforme; al contrario, è l’approccio bipolare che mortifica il pluralismo e la partecipazione. Queste due categorie che, con la libertà, sono l’essenza stessa della democrazia, nel tempo sono state sacrificate sull’altare della governabilità. Governabilità la quale, ancorché acquisita con artifici elettorali, si dimostra incapace di governare, mentre i suoi fautori si mimetizzano dietro il paravento del governo tecnico per celare la loro intrinseca incapacità per il fatto stesso che non hanno un seguito di partecipazione popolare a sostegno. Epperò in nome della governabilità si sono pure assegnato il premio di maggioranza. Premio che l’elettorato, di cui loro stessi si definiscono espressione diretta, non ha loro mai conferito.
Torniamo, dunque, all’antico modo. Introducendo i necessari correttivi agli eccessi verificatisi in quel tempo e recupereremo dignità e fiducia alla politica, togliendo i premi posticci. Il premio lo conferisce il popolo con il voto.
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