Ricordarsi di non dimenticare. ‘Dimenticare è ripudiare’

“Anche se tu mi dimentichi, Dio, io rifiuto di dimenticarmi”. Tragica e angosciante realtà del massacro di tutti i massacri, la Shoah, genocidio razziale degli ebrei, di donne, uomini e bambini indifesi, perseguitati, torturati, ammazzati. La Facoltà di lingue e letterature straniere in collaborazione con il Teatro Stabile e Riccardo Insolia, che ha curato il programma musicale del Coro della Camerata Polifonica Siciliana e dell’ensemble di clarinetti “Calamus”, ha dedicato una serata alla “Giornata della memoria”, necessaria e doverosa per ricordare l’incancellabile realtà impressa sulle pagine della storia del ventesimo secolo.

 

La serata è iniziata con la lettura di un testo di Nelly Sachs, poetessa ebrea, premio Nobel per la letteratura: “Se i profeti irrompessero per le porte della notte incidendo ferite nei campi della consuetudine, se i profeti irrompessero ancora per le porte della notte cercando un orecchio come patria, in cui depositarsi, restare. Orecchio degli uomini ostruito di ortiche sapresti tu ascoltare?”. L’amara bellezza di quei versi e dei testi di E.Wiesel, I.Bachmann, P.Celan, T.W.Adorno, R. Klüger e C.Edwardson rispecchiano chiaramente tutto ciò che non riuscirebbero a spiegare un’infinità di parole di chi non ha vissuto questa angoscia. Non basterebbero per colmare il vuoto riempito da quel fiume di sudore e sangue innocente, del cammino giudeo verso un destino funesto segnato nei volti scarni dei morti viventi e nel silenzio dei loro occhi, di quella cenere umana disprezzata e ammucchiata come un peso di cui sbarazzarsi in fretta.

 

“Senza la memoria la verità diventa menzogna, prende la maschera della menzogna”. Un auditorium gremito di gente che guardava la sequenza di immagini proiettate su quello che poco prima era un semplice telone bianco, all’improvviso macchiato dal dolore del ricordo. Dal ricordo di quella innocenza distrutta rappresentata attraverso quadri espressionisti, foto e simboli che hanno decretato la morte degli ebrei.

 

“Piangiamo insieme la morte della speranza, canteremo insieme la morte della morte”. Canti lirici e corali, musica classica e popolare ebrea. In tutto ciò traspare la gioia e il desiderio per quella vita non vissuta, l’impossibilità degli adulti di comunicare la loro annientata disperazione ai figli, e l’intensità devastatrice della loro inevitabile condanna: “la vita non è una poesia. Io non so cos’è e non potrò mai saperlo”. A noi adesso non resta altro che offrire la nostra memoria per la loro vita.

Valeria Arlotta

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