Reza, il rivoluzionario con la reflex

«Mi chiedevo se sarà possibile vedere Reza a lavoro nel corso di questo progetto» domanda una studentessa. Siamo nella Casa-museo di Antonio Presti, in piazza Stesicoro a Catania, dove il grande fotografo iraniano Reza Deghati – insieme al padrone di casa e al professore Ruggeri, docente di Storia e tecnica della fotografia alla Facoltà di Lingue e alla Facoltà di Lettere di Catania – illustra il progetto “Terzocchio Meridiani di Luce” agli studenti delle Facoltà di Lingue e Lettere che ne faranno parte. Reza, una mano alla tazzina di caffè e l’altra al suo iphone, sorride, libera la mano destra e risponde, in francese, «ho lavorato tutto il tempo in cui sono stato qui con voi». Posa l’iphone e prende la sua fotocamera compatta Canon G11. A giudicare dai movimenti e dagli scatti rapidissimi non tralascia nemmeno un particolare dei presenti, come della “Casa Stesicorea” che ci ospita: Reza è incuriosito dal soffitto che ritrae una insolita “musa nera”, e chiede informazioni sul dipinto.

Se la mano destra scatta, la sinistra è sempre occupata, dalla tazzina di caffè: Reza non può farne a meno. A giudicare dalla quantità di caffè che beve nel corso dell’incontro, una decina di tazzine almeno, è una vera e propria dipendenza, tanto che l’attesa del caffè fa ritardare di una buona mezzora l’inizio dei lavori, dopo l’ottimo pranzo offerto da Presti, mecenate e rinomato anfitrione. Una buona scusa per Reza, che ci racconta una storiella divertente sul perché «arrivare primi a una cerimonia è importante».

Fra risate e caffeina, Reza ci spiega in maniera molto semplice la sua idea di arte: è un mezzo per risolvere i problemi della società. Del resto «la comunicazione e l’informazione in futuro saranno più forti di qualunque arma» afferma, tradotto dal suo giovane collaboratore Manfredi che ha qualche piccola difficoltà nell’esprimere l’idea che Reza ha riguardo alla fotografia applicata a un progetto come quello di Fiumara d’Arte per Librino «educazione informale attraverso l’immagine», qualcosa che equivale a fare una rivoluzione imparando a guardare. Un concetto che si applica agli abitanti che verranno fotografati dato che «vedersi nelle foto è uno stimolo per migliorare», ma soprattutto a chi in questa esperienza prenderà in mano la macchina fotografica, gli studenti presenti. «L’immagine è la base dell’informazione, e chi parteciperà sarà in grado di usare al massimo questo mezzo», un mezzo, si diceva, più forte di un’ arma se si sa come usarlo.

Reza, che nel progetto Terzocchio avrà il solo compito della direzione artistica, affina la sua mira usandoci come bersagli: posata la G11 riprende l’iphone, e continua a fotografare tutto e tutti… Librino sarà il progetto base, il “pilota”. Se andrà bene, Reza esporterà l’esperienza in tutto il mondo, per cambiarlo con le sue armi.


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