Respingimenti: se i morti hanno un nome

«Il merito di questo libro è quello di portare alla luce le storie personali dei migranti. Storie che hanno un sottofondo di disperazione, quella di chi è costretto a partire non per scelta». Così esordisce Giuseppe Lorenti, giornalista e scrittore, alla presentazione del libro di Gabriele Del Grande “Il Mare di Mezzo”, svoltasi la scorsa domenica alla libreria Tertulia di Catania, organizzata da Radio Zammù e Step1 e coordinata da Roberto Sammito. Durante l’incontro si è discusso molto sul tema affrontato dall’autore, l’immigrazione e in special modo i respingimenti, messi in pratica dall’attuale governo, degli immigrati che dai loro paesi approdano sulle nostre coste in cerca di una nuova vita. O solo, e non è poco, per scappare dalle sofferenze patite nei loro Paesi.
 
«Un numero non quantificabile di persone, richiedenti asilo, che non hanno più potuto esercitare un loro diritto» continua Lorenti. E di queste persone Del Grande ci consegna le storie intrise di sofferenza, ma ancora pregne di speranza. «Il racconto che si fa dell’immigrazione in questo Paese prescinde dalle storie. L’italiano medio ha visto le immagini di questi uomini, ma non sa chi sono, cosa facevano prima di approdare in Italia. Lo stesso linguaggio utilizzato per parlare di loro è disumanizzato. Li chiamano clandestini, immigrati. Contenitori vuoti. E il fatto che 15 mila morti, vittime del Mediterraneo, non indignino nessuno passa anche da qui. Così, per smontare questa disumanizzazione, dopo 4 anni di viaggi e incontri, ho deciso di raccontarli per umanizzarli. E l’ho fatto evitando categorie sociali, ma descrivendo le storie dei singoli individui» spiega Del Grande.
 
E sono tante le storie raccontate dall’autore. L’amore di un ragazzo algerino per una ragazza conosciuta in chat che lo spinge a imbarcarsi per approdare in Sardegna. Il dolore dei padri di tutti i ragazzi dispersi in mare. O la storia di Jacob, camerunense, stabilitosi in Italia da 30 anni, portato all’interno di un Cie perché sprovvisto di permesso di soggiorno. Un pezzo di carta che si può possedere solo se si ha un lavoro. E il lavoro Jacob lo aveva perso a causa di un incidente.
 
«Storie che fanno la storia, e non tesi sociologiche, in una stagione che un giorno i miei nipoti studieranno sui libri di storia. Saranno loro a chiederci conto delle decine di migliaia di morti. Ci chiederanno dove eravamo mentre tutto questo accadeva» continua l’autore.

Alla fine dell’incontro qualcuno, partendo dall’invito di porre una domanda a Del Grande, ha affermato con toni concitati che «si è solo bravi a parlare, a conoscere, a fare film e reportage sui migranti, ma nessuno agisce, mangiamo solo sapere».  «Non sono d’accordo» replica Del Grande «ci sono delle reti sul territorio che agiscono. E’ accaduto per il caso di pestaggio subito da un eritreo a Cassibile. Un ragazzo che, partendo da una denuncia, adesso è seguito e aiutato da avvocati e volontari. Personalmente ho raccontato nel libro dei pestaggi all’interno dei Cie e poi le reti si sono attivate per i ragazzi che li hanno subiti. C’è tanta gente che si dà da fare. Molte persone scappate da Rosarno sono state ospitate da alcune famiglie. Credo che si debba capire e poi agire, usando le notizie che si hanno per fare leva sull’opinione pubblica. Finché non cambierà il modo in cui si racconta, non cambieranno le politiche adottate nei confronti di queste persone» conclude l’autore.


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