Inserita tra le società strategiche nel piano di riordino voluto da Crocetta, doveva essere il trampolino di lancio per le start up e le piccole e medie imprese rischia di essere l'ennesima zavorra per le casse regionali. Con un passivo di quasi due milioni di euro nel 2013. E c'è chi pensa alla nomina di un liquidatore
Regione, oscuro il futuro di Sviluppo Italia Sicilia La società partecipata è in perdita da quattro anni
I dipendenti di Sviluppo Italia Sicilia, la partecipata che da quattro esercizi finanziari consecutivi rimane in perdita, si domandano come, quando e soprattutto se potranno uscire dalla palude in cui sembrano essere precipitati da oltre un anno. Ma anche dal silenzio peggiore: quello dei fatti. La Regione, anche nel recente decreto di riordino delle partecipate dello scorso 27 novembre, ha deciso di non decidere.
Dal documento esitato qualche settimana fa, si evince come il segno meno nella perdita di esercizio sia passato da 487.120 euro del 2011 a 1.868.482 mila del 2013. Nata come soluzione ideale per sviluppare incubatori di start up e dare sostegno alle piccole e medie imprese, e messa dentro il calderone saturo delle società partecipate da Raffaele Lombardo nel 2008, la società rimane oggi in bilico. Da mesi Alessandro Baccei ha ribadito che le società che non avranno la forza di stare sul mercato andranno dismesse.
Tra Sviluppo Italia Sicilia e Crocetta, poi, non è mai stato amore a prima vista. Nonostante questo, dal dicembre del 2013 la “crocettiana” di ferro Carmelina Volpe – presidente della società e moglie di Domenico Tucci, già commissario della Provincia di Palermo – si agita in cerca di soluzioni, da un dipartimento all’altro, ma girando a vuoto. In passato, tra le possibile evoluzioni contenute nel piano di rilancio di Sviluppo Italia Sicilia, si era pensato alla cessione del pacchetto azionario dalla Regione ad Irfis FinSicilia, che ne avrebbe assunto il controllo. Ma la regionalizzazione delle misure agevolative previste in campo nazionale per la società che un tempo si occupava dei prestiti d’onore è rimasta soltanto una possibilità inespressa. A differenza di quanto avvenuto, per esempio, in Puglia dove a beneficiarne sono state le società di settore.
E così, a mancanza di un piano industriale – indicata da Baccei come tra le cause della crisi societaria – il contenzioso con l’assessorato all’Agricoltura che ammonta a un milione di euro per prestazioni rese e non liquidate, e la riduzione delle commesse hanno fatto il resto. Oggi, secondo alcuni, si arriva al paradosso che sarebbe auspicabile la nomina di un amministratore unico, magari con funzioni di liquidatore, per andare avanti. In realtà, però, l’esecutivo regionale, che nel piano di riordino ha inserito la società tra quelle strategiche, non ha ancora detto l’ultima parola su Sviluppo Italia Sicilia. Anzi, per l’esattezza, non ne ha detta alcuna, alimentando una sfiducia progressiva e crescente.