«Un disavanzo di 5 miliardi e 900 milioni di euro e con un indebitamento di 8 miliardi e 350 milioni di euro». È l’incipit della conferenza stampa tenuta stamattina dal presidente della Regione Nello Musumeci e dall’assessore all’Economia e vicepresidente Gaetano Armao che hanno lanciato un’operazione verità sui conti pubblici siciliani. Cifre che fotografano una situazione finanziaria drammatica, come scoperchiare il vaso di Pandora di una disastrosa situazione contabile, un’operazione che però, secondo questo governo, va fatta e affrontata fino in fondo per risollevare le sorti e indirizzare il rilancio dell’Isola.
Musumeci e Armao hanno presentato la relazione elaborata dalla commissione di esperti nominati il 4 dicembre scorso per portare alla luce «quanto non detto dalla precedente amministrazione» sul debito pubblico siciliano. Alle cifre da record già citate, potrebbero aggiungersene altre in sede di consolidamento del bilancio, quella fase cioè in cui verrà alla luce il debito di tutti gli enti collegati alla Regione, che ne rivelerà la situazione finanziaria complessiva. «Potrebbero esserci altri debiti dall’Eas o da altri enti e partecipate», ha specificato Armao. Da qui il quadro dettagliato: tra minori entrate e maggiori uscite si raggiungono 894 milioni nel triennio, mentre per l’anno finanziario chiuso siamo a 480 milioni di debiti fuori bilancio. Tra le minori entrate risulterebbero anche cento milioni che Riscossione Sicilia avrebbe trattenuto in modo non legittimo, mai versati nelle casse regionali. Drammatica la situazione anche per gli enti di area vasta, gravati al momento da misure intraprese dal precedente governo che non è riuscito a contrattare con lo Stato una riduzione della quota di compartecipazione al debito pubblico. «I liberi consorzi quest’anno utilizzeranno parte dei 70 milioni in più che la Regione ha dato a loro per sostenerle, per darli allo Stato come contributo al riequilibrio della finanza pubblica – ha denunciato Armao -. Siamo al paradosso, questi enti sono abbandonati al dissesto finanziario per via dell’enorme e fuori da ogni criterio onere che lo Stato riversa su di loro. Non dimentichiamo che la giurisprudenza della Corte Costituzionale dice che lo Stato può chiedere il contributo alla finanza pubblica, ma senza incidere sulle funzioni degli enti. Lo Stato non può portare gli enti al dissesto, cosa che purtroppo però si sta realizzando. Noi – ha ribadito l’assessore all’Economica – non intendiamo permettere che questo avvenga».
Dal canto suo, il presidente della Regione ha parlato dell’eredità ricevuta. «Nel precedente governo è mancata una strategia generale di media e lunga prospettiva – ha detto Musumeci -. Ci si era accontentati di affrontare l’esercizio finanziario con uno strumento contabile dove spesso è mancata la veridicità del dato e con un documento di riprogrammazione economica che non ha saputo fotografare la realtà siciliana. Né sono stati individuati obiettivi per risanare il debito pubblico e rientrare dal disavanzo». Il governatore ha poi annunciato un rallentamento nella ripresa: «Per i primi tre anni questa situazione peserà gravemente nel bilancio regionale». Sulle società partecipate, Musumeci ha spiegato che «rimangono alcuni dati da accertare, una ricognizione completa non è stata ancora fatta per capire qual è la perdita di queste società, molte delle quali costituiscono una vera a propria zavorra». A ciò va aggiunta la mancanza di una ricognizione del patrimonio della Regione. «Alcuni beni immobili non sono stati neppure catastati e questa operazione, su richiesta della magistratura contabile, andava fatta entro il 2017. Ci muoviamo su un terreno minato», ha commentato Armao.
La Corte di Conti riceverà la relazione nei prossimi giorni, mentre l’assessore all’Economia ha annunciato Il 15 gennaio un incontro con il sottosegretario Bressa, nel corso del quale chiederà la restituzione dei 285 milioni che la Sicilia versa annualmente per un accordo triennale stipulato con la precedente amministrazione, a titolo di spilt payment sull’Iva, introdotto con la legge di stabilità 2015.
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