«Mi fermo qui. Dopo trent’anni di impegno politico mi chiamo fuori. La sconfitta elettorale non c’entra: c’entra la vita. Che ti propone un tempo per tutto: basta essere capaci di ascoltarla». Inizia così il post con cui Claudio Fava annuncia il ritiro dalla scena politica. Il leader dei Cento passi per la Sicilia non è riuscito a ottenere la rielezione all’Ars, dove negli ultimi cinque anni ha guidato la commissione regionale antimafia. Una delusione che è coincisa con il cattivo risultato della lista, che si è fermata al di qua della soglia di sbarramento fissata al cinque per cento. «Mi fermo senza ripianti né recriminazioni. Molto si potrebbe dire e scrivere (e forse, non qui, lo farò) su questa campagna elettorale noiosa e reticente, sulle scelleratezze di un Partito democratico che in Sicilia – ha scritto Fava – preferisce sempre perdere pur di non rinunciare ai propri minuscoli califfati, su una candidata alla presidenza votata al silenzio (non spendere una sola parola sulle macerie ereditate si chiama silenzio, non “sobrietà istituzionale”). Ma anche sulle nostre storie a sinistra scritte sempre in punta di diffidenza, di divisione, di purezza della razza, presunzione, ostilità».
Fava tiene a rimarcare come la scelta di farsi da parte non è direttamente correlata all’esito negativo della tornata elettorale, a cui è arrivato dopo avere per mesi caldeggiato la possibilità di condurla da candidato presidente. Poi, in seguito alla sconfitta alle primarie di coalizione, la decisione di rimanere fedele al patto con il Pd, mentre il Movimento 5 stelle si è sfilato dalla coalizione. «Ma il punto, ripeto, non è l’esito di queste elezioni: è la vita che mi sollecita altro, e io le voglio offrire altro. C’entra anche, lo dico per onestà, il mio rapporto faticoso con questa terra – continua Fava -. Da quando ho trent’anni ho trascorso il mio tempo a seppellire morti e a cercare nella Sicilia una capacità di verità, di reciproca appartenenza, di condivisione nelle parole, nei gesti, nei dolori, nelle allegrie. A volte ci sono riuscito, a volte no».
«Adesso è tempo di altre parole e di altri siciliani – va avanti Fava -. È il tempo di quelli che hanno metà dei nostri anni. Che non hanno nessun morto da seppellire. Che provano rabbia, dolore ma anche curiosità e passione. Che non vogliono diventare anch’essi piccoli califfi d’un partitino. Che scelgono con cura le parole, prima di usarle. Ne conosco molte e molti. Fanno mestieri degni, insegnano, studiano, cercano. Sono sicuro che faranno bene. Il mio amico Riccardo (che ringrazio per aver voluto onorare la nostra amicizia e la nostra storia comune accettando, a settant’anni suonati, di candidarsi con i Cento Passi) scrive: “Sicilia buco del mondo, Sicilia dei morti di mafia, Sicilia dei ragazzi di Fava e di Borsellino. Sicilia feroce e povera, Sicilia di dignità e di bandiere. Sicilia con la valigia di cartone, Sicilia con la lupara e le bombe. In questo piccolo mondo, nella disgrazia di oggi e nell’amore di ieri, si concentra tutto. E non servono più parole». Il post termina con uno sguardo al futuro personale: «Ecco, non servono più parole. Non le mie: le porto altrove, in luoghi e cammini dell’esistenza dove si può far politica anche ascoltando, guardando, sillabando, ricordando, scrivendo. E – conclude – soprattutto vivendo».
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