Tra le ipotesi sulle cause della tragedia c'è la combinazione di un impianto vecchio e l'alta pericolosità per un terreno fragile. «Per provare a risolvere abbiamo iniziato dei lavori ma la Regione non ha finanziato il progetto completo», spiega il sindaco
Ravanusa, c’è chi parla già di una «strage annunciata» Tra rete gas di 40 anni fa e alto rischio geomorfologico
Mentre i soccorritori continuano a scavare con i mezzi meccanici e anche a mani nude per individuare gli ultimi due dispersi – padre e figlio – seppelliti sotto le macerie delle palazzine crollate a causa dell’esplosione avvenuta a Ravanusa sabato sera, c’è chi comincia a parlare di una «strage annunciata». Dovuta probabilmente alla combinazione di due fattori: da una parte, una rete del gas tra le più vecchie d’Italia – che risale a quasi quarant’anni fa – fatta con tubi in metallo catramato (un materiale che, per questioni di sicurezza, non si usa più negli impianti moderni perché si può spezzare con un urto); dall’altra, le condizioni del terreno nell’area interessata che è catalogata «a franosità diffusa» e con «una pericolosità e un rischio geomorfologico molto elevati». Insomma, un terreno fragile che franando su una conduttura vetusta avrebbe potuto essere pericoloso. Tanto che nella cittadina sono già stati avviati dei lavori per tentare di arginare questa situazione.
Nell’estate del 2018, il Comune ha ricevuto dalla Regione un finanziamento di circa sette milioni di euro per i lavori di completamento del consolidamento della zona est dell’abitato. «Si tratta solo di una parte dei fondi che avevamo richiesto – sottolinea a MeridioNews il sindaco Carmelo D’Angelo – e che ci avrebbero permesso di sistemare e di far cadere, anche per l’area che è stata interessata dalla tragedia, la sigla R4 che indica una zona rossa per il rischio geomorfologico». Una catalogazione che è stata attribuita a quell’area negli anni Novanta e che avrebbe potuto essere eliminata con il finanziamento dell’intero progetto presentato dal Comune per un valore di 22 milioni di euro. Sulla carta, è prevista la realizzazione di una parete di sbarramento da installare a trenta metri di profondità per bloccare i movimenti del terreno sotto quattro strade. Tra queste anche una vicina a via Trilussa, quella dove le palazzine sono state distrutte e danneggiate provocando sette morti accertati (se non si conta anche il feto di nove mesi portato in grembo da una delle vittime che sarebbe dovuto nascere mercoledì). Tra gli obiettivi del progetto anche quello di rifare la rete che raccoglie le acque piovane per impedire che si disperdano nel sottosuolo.
«Sull’area soggetta a dissesto – spiega il primo cittadino al nostro giornale – una parte dei lavori (quella del lotto finanziato dalla Regione con sette milioni di euro, ndr) è stata già avviata ed è in fase avanzata di realizzazione, anzi posso dire che i lavori volgono a completamento. Per l’altro lotto finanziato con cinque milioni di euro, invece, abbiamo consegnato i lavori alla ditta che ha iniziato proprio da pochissimi giorni». Insomma, si tratta di cantieri ancora aperti e che, anche una volta completati, non basteranno. «Dall’assessorato regionale e dall’ufficio del commissario per il dissesto idrogeologico, però – fa notare D’Angelo – non ci hanno approvato il finanziamento da dieci milioni di euro che sarebbe servito proprio per sistemare la zona R4, in cui rientra anche l’area colpita dal disastro».
Adesso, a chiarire cosa abbia provocato la deflagrazione che ha devastato un intero isolato del centro storico della cittadina dell’Agrigentino saranno i periti nominati dalla procura – che ha aperto un fascicolo per disastro e omicidio plurimo colposo – che hanno già cominciato ad analizzare dal punto di vista tecnico la rete del gas da cui avrebbe avuto origine la perdita che ha provocato l’esplosione. «È necessario che facciano degli accertamenti approfonditi e puntuali per arrivare alle cause di questo disastro», conclude il primo cittadino. Tra le ipotesi in campo confermate anche dal comandante provinciale dei carabinieri di Agrigento Vittorio Stingo c’è proprio quella di «una frana, visto che questa è una zona con elevata fragilità idrogeologica ma non è escluso – ha aggiunto – che ci possa essere una cavità sotterranea naturale. Non lo sappiamo ancora, lo verificheremo quando tutte le macerie saranno rimosse».
Intanto, i pubblici ministeri stanno acquisendo da Italgas (la società che gestisce la rete) e dalle ditte subappaltatrici le carte e i documenti relativi alle manutenzioni del metanodotto compreso il verbale dell’intervento di ordinaria manutenzione che sarebbe stato effettuato sull’impianto proprio cinque giorni prima della strage. Verifiche che pare non abbiano manifestato nessuna criticità ma su cui è necessario adesso controllare chi abbia materialmente eseguito il collaudo e se sia stato fatto a regola d’arte. Stando a quanto riportato a MeridioNews dal consigliere comunale Giuseppe Sortino, nei giorni scorsi, diversi abitanti della zona avrebbero sentito puzza di gas. Anche se, in merito a questo nessuna informazione è arriva alle forze dell’ordine, all’amministrazione comunale e nemmeno a Italgas.