L'inchiesta della Dda di Catania è partita dopo che uno dei lavoratori ha trovato il coraggio di denunciare. Dai controlli è emerso che le condizioni imposte dai capi del gruppo erano impietose. Nessun guadagno e chi provava a scappare veniva picchiato. Guarda il video
Ragusa, braccianti stranieri tenuti in schiavitù Fermati connazionali, tra vittime anche minori
Portati in Italia con la promessa di trovare un lavoro e migliorare la difficile vita condotta nel paese d’origine, per poi invece essere praticamente schiavizzati. Sarebbe stato questo il destino dei braccianti finiti nelle mani di Lucian Milea, Monica Iordan, Marian Munteanu, Alice e Marian Oprea. I cinque, tutti di origine romena, sono stati arrestati dalla polizia di Ragusa nell’ambito di un’inchiesta sul caporalato condotta dalla Direzione distrettuale antimafia della procura di Catania. I reati ipotizzati sono di traffico di esseri umani a scopo di sfruttamento lavorativo e, per alcuni, anche anche della prostituzione.
A capo dell’associazione a delinquere ci sarebbero stati Milea e Iordan. I due, uniti sentimentalmente, avrebbero gestito l’arrivo della forza lavoro. Le vittime erano reclutate tra le fasce più bisognose: senzatetto, anziani, emarginate. Ovvero chiunque fosse stato disposto a tutto pur di riuscire a coltivare la speranza di stare meglio. Speranza che però, arrivati nelle serre del Ragusano, sarebbe stata vanificata da una quotidianità fatta di soprusi e sfruttamento.
L’indagine è nata dopo le dichiarazioni rese da una delle vittime, che è riuscita a trovare il coraggio di denunciare. Dai controlli effettuati dalla Squadra mobile iblea sono emerse condizioni durissime: i lavoratori vivevano nelle stesse case degli indagati, abitazioni che lasciavano soltanto per andare a lavoro. Nei rari casi in cui qualcuno provava a scappare, veniva recuperato e picchiato. Tra le vittime anche alcuni minorenni. L’associazione teneva per sé la totalità del guadagno, riservando ai braccianti il minimo indispensabile per sopravvivere.
Sottoposti in un primo momento a decreto di fermo, i cinque sono stati trasferiti in carcere su disposizione del tribunale di Catania, che ha convalidato il provvedimento emesso dalla procura etnea. Nell’inchiesta è coinvolta anche una sesta persona, al momento non ancora rintracciata.