Racket, in manette i nuovi volti della mafia calatina «Non mi fare gonfiare la minchia. Vi sparo a tutti»

Minacciavano e picchiavano le loro vittime, e gli danneggiavano i mezzi. Non solo quelli personali ma pure i veicoli aziendali. Con l’obiettivo di ottenere il denaro estorto a persone che sceglievano con cura tra la grossa imprenditoria di Palagonia e Militello in Val di Catania. A operare era il gruppo detto Calatino-Simeto – collegato alla famiglia catanese di Cosa nostra Santapaola-Ercolano – guidato da Salvatore Ferraro, soprannominato Turi vampa. Il 46enne è il figlio del defunto Francesco Ferraro – noto come Ciccio vampa -, uomo d’onore inizializzato con il rito della pungiuta e rappresentante provinciale della cupola di Cosa nostra negli anni ’90. A differenza del padre, Turi vampa sarebbe stato un volto nuovo nel mondo della criminalità organizzata di stampo mafioso. Un elemento che ha fornito il titolo all’operazione New faces dei carabinieri del comando provinciale e dei colleghi della compagnia di Palagonia. Che hanno messo le manette complessivamente a sei persone

«Avevano messo a segno una decina di estorsioni ma a denunciare sono stati soltanto due titolari di altrettanti supermercati del Calatino», spiega il maggiore Felice Pagliara. Che ha coordinato le indagini dei militari, durate complessivamente due anni. Un periodo nel corso del quale «siamo riusciti a raccogliere le prove di quanto ci è stato riferito dalle vittime», precisa. Filoni di indagine portati avanti anche grazie a intercettazioni telefoniche e ambientali, e alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. «Ai commercianti, alcuni anche del settore edile, venivano prima avanzate richieste di denaro una tantum che presto si trasformavano in un vero e proprio pizzo mensile», dice il maresciallo Pagliara. «Le cifre erano grosse, parliamo di duemila o cinquemila euro al mese», fa alcuni esempi. Con la minaccia «che se non avessero pagato sarebbero stati pestati», conclude. 

I reati contestati a vario titolo a Ferraro, Luigi Scuderi, Mario Compagnino, Rocco Farruggio, Pierpaolo Di Gaetano e Salvatore Musumeci sono associazione mafiosa ed estorsione sia tentata che consumata, con l’aggravante del metodo mafioso. Da cui «emerge il sodalizio con Cosa nostra catanese», precisa Pagliara. La maggior parte degli arrestati è palagonese, mentre Compagnino è di Militello in Val di Catania e Di Gaetano catanese. E quest’ultimo è già detenuto per altri reati. Il resto è stato trasferito nelle carceri di Siracusa e Caltagirone, in attesa dell’interrogatorio di garanzia che si terrà nei prossimi giorni. Sul tavolo dell’accusa anche le intercettazioni registrate dagli inquirenti.

«Come tu alle cinque non vieni Giovà…ti sto avvisando, vengo dentro la tua porta e mi porto la macchina, tutto quello che avete dentro, va bene? E allora alle cinque portatemi i soldi, se hai i coglioni… Mi porti duemila euro e aggiusti le mie cose, non le tue. Perché quando abbessu le cose alle persone mi metto sempre a disposizione», si legge in un passo delle intercettazioni fornite dagli inquirenti. «Li porti i soldi? Non mi fare gonfiare la minchia, Giovanni, perché vi sparo a tutti. Hai capito che vi sparo a tutti? Vai a procurarmi i soldi! Come alle cinque tu non vieni, vengo davanti alla tua porta, ti sto avvisando. Ora mi avete rotto la minchia…tanta. Alle cinque tu non vieni?», continua un altro passo delle conversioni tra Salvatore Ferraro e una delle vittime. «Il clima a Palagonia è quello che si respira nell’entroterra siciliano. Il rammarico – dice il maresciallo dei carabinieri di Palagonia Santo Zanchì – è per molti imprenditori che avevano subito l’estorsione, i quali hanno negato tutto, anche davanti all’evidenza». «Fortunatamente siamo riusciti a risalire lo stesso ai responsabili», conclude. 

Cassandra Di Giacomo

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