È di moda chiamarla “razionalizzazione”. Si cita il caso di corsi di laurea stravaganti, come quello, ormai famoso, attivato presso la facoltà di Veterinaria dell’università di Bari ed intitolato “Scienze dell’allevamento, igiene e benessere del cane e del gatto”. Oppure, per restare in tema, il mirino è puntato sui corsi di laurea da sopprimere perché frequentati solo da quattro gatti. Ma così non è. Anzi, in molti casi, è vero il contrario: sono a rischio corsi di laurea con numerosissimi iscritti. Vi spieghiamo perché.
La cosiddetta razionalizzazione avviata in tutti gli atenei, e orgogliosamente sbandierata dai “virtuosi” Rettori, c’entra relativamente poco coi tagli della Gelmini. Essa è solo l’antipasto in vista dell’applicazione del decreto ministeriale n.270, varato dalla Moratti nel 2004 e attuato sia da Mussi che dall’attuale governo, che prevede alcuni “requisiti minimi” per la convalida dei corsi di laurea. Serve un certo numero di professori di ruolo per ogni corso, e dal numero dei docenti strutturati dipenderà il tetto massimo d’iscritti. Ciò vuol dire che sarà impossibile continuare a tenere aperti corsi di laurea che attirano numerosissimi iscritti affidandosi unicamente ai famosi “docenti a contratto”, ovvero giovani ricercatori in formazione o professionisti esterni pagati in maniera quasi simbolica.
Se veniamo all’università di Catania, la maggior parte delle facoltà ha deciso di rinviare al 2010-2011 l’applicazione dei “requisiti minimi”. La limitata soppressione di corsi di laurea prevista per il prossimo anno accademico (sette corsi in meno a Scienze, Economia e Scienze della Formazione) è perciò soltanto il preludio di quanto avverrà a partire dal 2010-2011. Ed è soprattutto il preludio del numero programmato che dovrà essere applicato a tutte le facoltà.
Il “dietologo” prof. Giuseppe Cozzo, ex preside di Ingegneria e delegato del Rettore alla Didattica, sdrammatizza: “… abbiamo toccato con mano esempi di corsi che vanno tagliati e interverremo. Nulla di drastico, ma una cura avviata per sentirsi meglio”. Disgraziatamente non sarà così per alcuni settori umanistici, ad esempio per i due corsi della classe di laurea in scienze della comunicazione attivi presso le facoltà di Lettere e di Lingue che hanno attirato migliaia di iscritti. Qui, in assenza di docenti di ruolo dei settori disciplinari portanti, la cura dimagrante rischia d’essere drastica. E può darsi che il paziente stramazzi a terra.
Ci sono quattro argomenti sui quali la commissione paritetica per la didattica sembra in difficoltà per bilanciare la dieta. Il primo è quello della collaborazione interfacoltà, per ottimizzare le risorse e sopprimere il fenomeno delle facoltà che si sono fatte concorrenza a colpi di corsi di laurea doppione. Fino a che punto il prof. Cozzo riuscirà a convincere i Presidi a collaborare, ponendo in primo piano la qualità dell’offerta didattica e non i pretesi “interessi” di facoltà?
Il secondo argomento cruciale è lo squilibrio tra lauree triennali di primo livello e lauree specialistiche biennali. Molti studenti fuggono via da Catania dopo la triennale. Come mai? Ma basterebbe osservare il paradosso per cui esistono 85 lauree “di base” e soltanto 58 specialistiche. Non dovrebbe essere il contrario?
Il terzo argomento è il ridimensionamento dei corsi di laurea doppione nelle sedi decentrate. Basti l’esempio di medicina e giurisprudenza a Ragusa, fotocopie dei corsi tenuti a Catania.
Quarto ed ultimo è il fallimento generalizzato del 3+2. Facoltà come Giurisprudenza e Ingegneria stanno correndo ai ripari riattivando la laurea quinquennale a ciclo unico. Nelle altre si fa finta di niente.
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