Quel giorno in cui il professor Romano venne cacciato in malo modo da Padre Pio…

“… e so legger di greco e di latino e scrivo e scrivo e ho molte altre virtù…”. Questi versi di Giosuè Carducci si attagliano perfettamente a quelle generazioni di studenti che il Professor Domenico Romano, illustre latinista dell’Università di Palermo, scomparso sabato scorso all’età di 89 anni, ha nel corso della sua lunga vita- prima insegnante al liceo Vittorio Emanuele II e poi alla facoltà di lettere dell’Università – forgiato ad una cultura classica che ha permesso poi loro, grazie al suo insegnamento, di intraprendere prestigiose carriere.
Ai futuri professori, giornalisti, dirigenti, avvocati e intellettuali il professore Romano, sin dai primi anni del suo insegnamento, ha poi, per 60 anni, trasmesso il suo enorme patrimonio di cultura e di umanità. Intere generazioni hanno, per decenni, attinto dal suo sapere, e quelli che ebbero il privilegio di essere stati suoi studenti – e io tra questi – rimpiangono oggi la sua scomparsa e il vuoto che ha lasciato nel panorama culturale di questa nostra martoriata città alla quale era visceralmente attaccato.
Generazioni di palermitani rimpiangeranno e ricorderanno con nostalgia la sua fervida intelligenza, la sua correttezza, la sua coerenza e la sua dirittura morale, il suo antifascismo militante, i suoi scritti, le sue poesie, le sue opere e i numerosissimi articoli pubblicati soprattutto nelle pagine culturali dal ‘Giornale di Sicilia’ e dal quotidiano ‘L’Ora, frutto della sua immensa passione per il giornalismo.
Quante generazioni di studenti palermitani lo ricorderanno, tra l’apparire ed essere, per il suo carattere apparentemente forte, ma effettivamente mite, soprattutto quando, rivolgendosi ai suoi interlocutori, prevalentemente studenti, con garbo e persuasione, motivava le sue dotte argomentazioni trasmettendo loro il suo inesauribile patrimonio di idee e di sapere. O come quando era uso ricordare episodi della sua vita che risalivano ai tribolati avvenimenti della seconda guerra mondiale e ,più precisamente, a quelli del fatidico 8 settembre.
In quelle burrascose giornate, essendo militare a Campobasso tra il marasma generale con alcuni compagni – tra cui Nino Sorgi, che sarà poi valente avvocato e padre del giornalista Marcello attuale editorialista della Stampa – si decise di tornare in Sicilia. In quei drammatici frangenti, prima di intraprendere il viaggio verso Palermo, gli fu consigliato di chiedere ospitalità ed assistenza al convento di Pietralcina. E fu in quell’occasione che avvenne un burrascoso incontro con Padre Pio.
Alla presenza del futuro Santo il Professor Romano e i suoi compagni furono invitati a baciare la mano al frate, cosa che per le loro convinzioni politiche si rifiutarono di fare cercando, come era per loro naturale, anziché di baciarla, di stringere la mano del frate per un cordiale saluto. Non l’avessero mai fatto! “Fuori miscredenti”, fu l’urlo di Padre Pio, che anziché ospitarli cristianamente come era giusto che avvenisse li mise letteralmente e malamente alla porta. “E fu così che sperimentai in quella occasione – soleva spesso ripetere il prof Romano con un sornione sorriso – la santità di Padre Pio” .
Tornato a Palermo iniziò così senza soluzione di continuità per 60 anni la lunga carriera di docente, prima, come già ricordato, nei licei e poi all’Università, diventando un importante e significativo punto di riferimento culturale per la nostra città e per tante generazioni di studenti che, grazie a lui, hanno imparato a scrivere e legger di greco e di latino ed acquisire tante altre virtù così che, tra scuole di tecnologia e di informatica, quella cultura classica che con tanta amore, passione e sapere ha saputo trasfondere ai suoi allievi rimane oggi un privilegio di pochi .

 

 


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