«Qui siamo persone. Valiamo un contratto di lavoro serio». Fabio sè laureato a Catania, in informatica. Ma ora lavora qui. «Tornerai in Sicilia?». «Tu che ne dici?».
Cè Fabio, capelli lunghi e bruni, e un posto in una grande azienda informatica. Cresciuto a Pozzallo, piccola cittadina marinara nel ragusano, anche se ormai la carta didentità lo dà per residente a Dublino. Cè Silvia, palermitana, sorriso sincero, con un posto alla Google. Un sogno. Ma lungo la centrale O Connell Street, tra i fast food che vendono panini lerci, non si sente lodore di pane e panelle. Lo stesso cielo lo vede Paola, che viene da Modica, anche lei ragusana, laureata con il massimo dei voti alla Bocconi e ora un presente ed un futuro in Irlanda. E poi cè Dario, calabrese che non rimpiange la propria terra, studente erasmus a Dublino con in tasca una laurea triennale in Scienze politiche a Siena. Il suo sguardo la sera per rientrare a casa non incrocia più il lungo mare di Reggio ma sfiora la centrale Grafton Street, dove una marea di gente invade i negozi nella bolgia dello shopping. Anche Marco viene dalla Calabria e al momento vive in un freddo ma accogliente ostello. È partito, con uno zaino in spalla, alla ricerca di un lavoro che gli desse un futuro: «Dalle mie parti lavoro ma non posso progettarmi neanche il giorno dopo. Voglio prendere aria e per questo sono qua».
Fabio, Marco, Silvia, Paola, Dario sono i nuovi migranti italiani. Non ci sono più valige di cartone, cabine e gettoni telefonici. Sono i migranti del 2000: zaino in spalla, facebook e skype per comunicare. La generazione duemila o forse la generazione zero.
Fabio, 26 anni, lo incontriamo quando finisce di lavorare. Appuntamento al Trinity college e poi di corsa in un vecchio pub. Gli sgabelli sono in legno e nelle pareti sono appese vecchie foto in bianco e nero. In un angolo del locale un vecchio musicista, con i baffi allinsù che sembran toccare il cielo, suona Galway girl, una vecchia ballata irlandese che scatena una danza, sciolta dai fumi dellalcol. Fabio sorride davanti a una pinta di birra scura comincia a raccontare la sua avventura. «Io appena mi sono laureato a Catania, in informatica, ho pensato di iscrivermi a Como, in un corso che mi piaceva molto. Serviva linglese e allora ho deciso di passare un po di tempo a Dublino per migliorare la lingua». Fabio non è più tornato e mentre il vecchio musicista intona A whiter shade of pale dei Procol Harum ci confessa: «Ho tentato, così quasi per gioco, e ho mandato il mio curriculum ad alcune aziende. Una di queste mi ha chiamato, io non ci credevo, e mi ha detto di fare un colloquio». Il colloquio era un po strano. Dallaltra parte della scrivania non cera nessuno in carne ed ossa ma uno schermo con un uomo a Los Angeles. Per Fabio è la svolta. Ora si occupa di sistemi antivirus ed è contento del suo lavoro. «E’ impensabile che in Italia possa accadere la stessa cosa e soprattutto qui ti trattano con dignità. In Italia tu sei il suddito e laltro è il tuo padrone. È una questione di mentalità riflette Fabio Io, quando ho cominciato a lavorare, ero un po servile, come siamo abituati a fare noi, ma poi ho capito che qui è diverso. Qui siamo persone e valiamo un contratto a tempo indeterminato».
Ma lodore del paese non esce dalla mente di Fabio. Un rapporto quasi carnale quello che lo lega alla sua terra, come ogni buon siciliano. «A me manca tantissimo la Sicilia e a volte mi sento quasi in colpa per averla lasciata. Ma io voglio tornare e poter costruire qualcosa laggiù con il bagaglio professionale che mi sto facendo lavorando a Dublino». Intanto la pinta è già mezza vuota e nellaria cè un vecchio brano di Bob Dylan quando Fabio comincia a parlare del suo grande hobby. Appena esce «ro travagghiu» come dice lui in maniera poco british va a suonare con gli amici. Hanno messo su una band con la voglia di inondare le strade piene di artisti di Dublino con i propri suoni: un po mediterranei, un po irlandesi. Quando era in Sicilia, Fabio era il frontman di una band molto nota nel suo ambiente: gli Skaramanzia. Giù e su dai palchi di mezza Italia e un cd allattivo. Cantavano la voglia di cambiare, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. «Al momento ci siamo fermati per ovvie ragioni ma io spero che primo poi ripartiremo».
Sono tante le speranze sotto il cielo dIrlanda. Ci sono i sogni di Fabio come quelli di Silvia o Dario. Cè il cantante che suona una ballata ai migranti e unItalia che si allontana.
Giorgio Ruta de Il Clandestino su I Siciliani giovani
[Foto di remuz]
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