Quando la mafia divenne una questione nazionale: lo Stato sul banco degli imputati

1900, la mafia è in Parlamento. A Milano si celebra il processo per l’omicidio di Emanuele Notarbartolo, ex-sindaco di Palermo ed ex-direttore generale del Banco di Sicilia, ucciso a coltellate nel 1893, su un treno, lungo la tratta Palermo-Termini Imerese. Il mandante è Raffaele Palizzolo, deputato siciliano, mafioso e amico di mafiosi. La mafia diventa per un biennio una questione nazionale.

Napoleone Colajanni, ex-garibaldino, mazziniano, parlamentare repubblicano, scrive a caldo un libro che intitola Nel Regno della Mafia, nel quale denunzia i depistaggi, le aderenze di Palizzolo, i legami tra mafia e politica, e chiama sul banco degli imputati lo Stato italiano, reo di aver legittimato la violenza mafiosa, facendone uno strumento di lotta politica. Una lettura a difesa della Sicilia che dopo oltre un secolo mantiene una grande attualità, poiché ci aiuta a capire perché la mafia è ormai vecchia quanto lo Stato italiano, oltre 150 anni,

Il libro è proposto adesso dalla casa editrice «Edizioni di storia e studi sociali», corredato di un saggio introduttivo di Gianluca Fulvetti, dell’università di Pisa, che spiega con dovizia di dati lo sfondo storico e politico in cui si colloca la denuncia del parlamentare repubblicano e, «anche per incorniciare meglio il senso che ha la ristampa di un volume come quello di Napoleone Colajanni», i modi in cui si è evoluta, dai primi decenni dell’unità nazionale ai nostri giorni, l’analisi del fenomeno mafioso.

Napoleone Colajanni, Nel Regno della Mafia (Dai Borboni ai Sabaudi), a cura di Gianluca Fulvetti, Edizioni di storia e studi sociali, pp. 140, maggio 2014.

Napoleone Colajanni (Enna 1847 – ivi 1921). Nel 1862 si arruolò con i garibaldini, con i quali raggiunse l’Aspromonte, dove fu fatto prigioniero. Nel 1869 fu arrestato a Napoli per aver preso parte a una cospirazione repubblicana. Eletto deputato repubblicano nel 1890, due anni dopo, con la sua denuncia in Parlamento, sollevò lo scandalo della Banca Romana. Fu docente di Statistica all’Università di Palermo e fondò la «Rivista popolare». Pubblicò numerosi scritti, tra cui: La repubblica e le guerre civili (1882); Il Socialismo (1884); La sociologia criminale (1889); Banche e parlamento (1893); In Sicilia: gli avvenimenti e le cause (1894); L’Italia nel 1898: tumulti e reazione (1898); Nel regno della mafia (1900); Manuale di statistica tecnica e di demografia (1904); È necessaria la pena di morte per la difesa sociale? (1910)

Gianluca Fulvetti. È ricercatore presso il Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa. Studioso dell’antifascismo, della Resistenza e della Seconda guerra mondiale, si occupa anche di storia della mafia. È autore di diversi saggi, tra cui: Uccidere i civili. Stragi naziste in Toscana, 1943-1945, Roma, Carocci, 2009; Tra silenzio e collusione. La chiesa di Sicilia e la mafia, 1860-1970, in «Novecento», n. 5, luglio-dicembre 2001, pp. 141-66.


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