Quando i numeri rovinano la vita

«Il cibo era diventato la mia ossessione». Anna sfoglia un libro dalla copertina bianca e nera. I suoi occhi, fissi sulla prima pagina, sono come l’azzurro del cielo limpido. I capelli nero corvino fanno da cornice al viso florido e roseo. Le sue mani, molto più piccole del libro, sono del colore delle nuvole. Accatastati in un angolo del salotto vi sono una decina di scatoli contenenti altri libri di ogni misura e dalle copertine variopinte: rosse e gialle, verdi e blu. Anna li estrae uno per uno dai cartoni, li spolvera con uno straccio giallo e li ripone su un tavolo argentato. Poi, aiutandosi con uno sgabello arancione, li sistema dal più grande al più piccolo su una chilometrica mensola di vetro appesa alla parete rosso mattone della stanza. «La mattina il mio primo pensiero era controllare il mio peso sulla bilancia. Era diventato quasi un rituale che mi accompagnava per il resto della mia giornata. Non ero mai soddisfatta del mio peso. Così digiunavo: saltavo la colazione, il pranzo e la cena. Bevevo solo acqua e a volte un succo di frutta» continua Anna, mentre estrae l’ultimo libro dal terzo cartone. Poi avvicina a sé lo sgabello, ci si siede sopra e riprende a parlare: «Controllare il mio peso mi faceva sentire bene. Avevo la sensazione di poter controllare tutto. In realtà avevo solo una gran paura».
 
Anna ha 23 anni. A 18 anni si è ammalata di anoressia, un disturbo psichico del comportamento alimentare caratterizzato da un rifiuto volontario di cibo. «I soggetti affetti da questa patologia hanno un’eccessiva paura di aumentare di peso rifiutando anche di mantenerlo entro i livelli della normalità», spiega la professoressa Carmela Calandra, psichiatra e responsabile del Centro di Accreditamento regionale per i Disturbi dell’Alimentazione del Policlinico di Catania. Il disturbo si manifesta tra i 12 e i 25 anni, con frequenza maggiore tra i 13 e i 16 anni. La malattia colpisce prevalentemente il sesso femminile e raramente il sesso maschile: solo 1 caso su 10 riguarda ragazzi. «Generalmente sono ragazze in sovrappeso che vogliono diventare magre e per far ciò intraprendono una dieta dimagrante non controllata», spiega la professoressa Calandra. Le cause dell’insorgenza della malattia sono molte. «Bisogna soprattutto risalire alla prima relazione con la figura genitoriale e al rapporto con la famiglia». Anche i cambiamenti del corpo durante lo sviluppo puberale, l’inizio o la conclusione di una relazione affettiva, il verificarsi di molestie fisiche, la morte di un parente, il crescente risalto dato dai mass media al mito della magrezza e alla moda, possono scatenare l’inizio della patologia. Sono tutte situazioni che accrescono le difficoltà  sul piano delle relazioni interpersonali, dell’autonomia e dell’autostima.
 
«I primi segnali evidenti del disturbo si presentano a tavola: evitano di mangiare la pasta, il pane ed eliminano l’olio dalle pietanze» spiega ancora Carmela Calandra. Inoltre assumono particolari comportamenti durante i pasti: mangiano lentamente, bevono bevande molto calde tra una pietanza e un’altra per combattere la fame e contano regolarmente le calorie ingerite. Quando non resistono alla necessità di mangiare, tendono a provocarsi il vomito per espiare il senso di colpa provocato dalla grande abbuffata. «I soggetti anoressici possono avere anche condotte bulimiche. La bulimia è un altro disturbo alimentare che non differisce tanto dall’anoressia se non per le frequenti abbuffate compulsive seguite dal rigetto del cibo ingerito». Il dimagrimento fisico suscita nei soggetti ammalati un senso di gratificazione e soddisfazione. Le fatiche della restrizione alimentare vengono sostituite da un generale stato di benessere fisico.
 
«Nonostante la diminuzione del peso – continua la professoressa – il soggetto anoressico in un primo momento dimostra un’ elevata iperattività fisica: si dedica ad attività sportive faticose con lo scopo di perdere sempre più peso. In un secondo momento, cioè quando il corpo arriva a pesare anche 30 Kg, questa iperattività rallenta». E’ proprio in questa fase che la malattia si cronicizza. La paura di perdere il controllo del proprio peso comporta nei soggetti anoressici depressione e ansia. Il timore di ingrassare diventa tale da indurli a saltare regolarmente i pasti quotidiani. Le conseguenze psicofisiche della malnutrizione cominciano a diventare evidenti. «Hanno difficoltà di apprendimento e di concentrazione. Ciò compromette lo svolgimento di attività scolastiche o lavorative» aggiunge la professoressa Calandra. Il corpo diventa scheletrico, la funzione digestiva rallenta e la pressione arteriosa si abbassa molto. «La temperatura corporea si abbassa anche in estate. Il metabolismo rallenta. L’organismo cerca in tutti i modi di difendersi». Sono conseguenze fisiche inevitabili  anche l’anemia, l’osteoporosi, la perdita di capelli e la pelle disidratata. «Nelle ragazze si sviluppano casi di amenorrea, cioè l’assenza del ciclo mestruale». Gli stati depressivi spesso causano il suicidio. Il deperimento del corpo e le sue conseguenze possono provocare la morte.
 
Tuttavia se la malattia non raggiunge livelli estremi di cronicità e quindi se i medici intervengono tempestivamente, si può guarire. «Di solito approcciamo i soggetti anoressici dopo 4-5 anni dall’insorgere del disturbo. Sono per lo più i familiari, e non loro, a chiedere l’intervento medico. Attraverso una terapia psicologica, farmacologica e nutrizionale, di gruppo o individuale, riusciamo a tirarli fuori dal problema. Il percorso è molto lungo e difficile perché non mostrano nessuna intenzione di guarire. Il digiuno per molti diventa quasi uno stile di vita. E’ necessario perciò cercare di curare pazientemente il soggetto accompagnandolo nel lento cambiamento di questo stile di vita. Una cura forzata potrebbe cronicizzare ulteriormente la malattia», rivela la psichiatra. Nei paesi industrializzati a partire dagli anni ’70 l’anoressia e gli altri disturbi del comportamento alimentare, quali la bulimia e altri non specificati, hanno avuto un incremento di incidenza notevole. In Italia, secondo una ricerca condotta dall’osservatorio scientifico dell’Associazione Bulimia Anoressia, circa 3 milioni di italiani soffrono di disturbi alimentari. Ogni anno, secondo l’Atlante 2004 di Geografia Sanitaria del Ministero della Salute, per 100.000 abitanti si verificano 4-8 nuovi casi di anoressia e 9-12 nuovi casi di bulimia.
 
«Stavo sempre a casa da sola. Non uscivo mai con i miei amici. Non andavo mai a far visita ai miei genitori. Avevo paura di stare insieme a loro perché temevo che mi criticassero e che mi costringessero a mangiare. Vivevo in un mondo tutto mio che mi dava l’illusione di stare bene. In realtà ero intrappolata in una prigione», borbotta Anna con voce smorzata. Accanto al tavolo, adagiati sul pavimento di marmo bianco, vi sono un cesto di plastica gialla ricolmo di vestiti ben piegati e una minuscola valigia vuota. Anna si sofferma a guardarli per un secondo. Poi si alza dallo sgabello e si dirige verso di essi. China sul pavimento, afferra con la mano destra il manico del cesto e con la mano sinistra quello della valigia. Dopo averli riposti sul tavolo tira  fuori dal cesto gli indumenti e li sistema con cura dentro il bagaglio. Prima la t-shirt a righe bianche e rosse, poi il pantalone nero e infine il vestito giallo, verde e blu. Chiude la lampo della valigia, la ripone nuovamente accanto al tavolo e ricomincia a parlare: «Stavo male. Pesavo 40 Kg. E’ stato un mio amico a portarmi in ospedale. La terapia è durata due anni. Non è stato facile riabituarmi a una vita normale, ma lavorando sodo ce l’ho fatta. Adesso ho riacquistato fiducia in me stessa e non permetterò più a dei numeri di rovinarmi la vita».


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