Non tutti gli allievi del prof. Escher, alla fine, hanno deciso di fare i giornalisti. Ma gli anni passati con lui hanno lasciato lo stesso il segno. Ecco la testimonianza di uno dei primi redattori di Step1
«Qualcuno a cui dimostrare chi ero»
Se oggi sono la persona che sono, lo devo anche a lui, che un giorno, ormai non ricordo più quanto lontano, mi fece capire cosa significhi il detto: “tutti sono importanti, ma nessuno è indispensabile”. Ho tanti di quei ricordi che non mi sembra vero che mi venga così difficile buttar giù due parole per chi m’insegnò che si può essere originali anche restando tra le righe, per chi non ha mai capito come diavolo mi venissero in mente certe idee assurde di articoli, per chi mi giustificava sempre, qualsiasi cazzata combinassi.
Ero io, il solito. Irriverente, irrispettoso dell’autorità, menefreghista. Eppure sembrava che in me lui avesse visto qualcosa, non so bene cosa a dire il vero. Faccio parte di quella redazione che ancora bazzicava il Medialab, quella stessa che ha fatto il trasloco in aula 24, che ha vissuto la maratona elezioni, le cene, e lui che pagava e Granozzi che portava la millefoglie. Il giorno in cui decise di lasciare la direzione non ho più scritto con lo stesso entusiasmo, non avevo più nessuno a cui dimostrare quanto valessi, non avevo più qualcuno da contraddire. A chi dimostrare che è vero che nessuno è indispensabile, ma è anche vero che esistono delle eccezioni?
Ora mi sembra che il mio sogno giornalistico sia svanito col suo allontanamento dalla redazione. O forse il mio sogno giornalistico non è mai esistito, era semplicemente lui a tirar fuori dalle persone entusiasmo anche per cose che alla lunga ti lasciano indifferente. In fondo non sono mai stato tagliato per cercare notizie. Non mi è mai piaciuto telefonare alle persone per chiedergli cose, anche quando mi diceva “se ti trovi in difficoltà, dì che ti mando io…”, e il “mi manda X” a Catania non è mai cosa da poco.
La verità è che anche dopo, anche quando era lontano migliaia di chilometri, l’ombra del professor Escher è stata sempre accanto a me, e non sempre in un modo piacevole. Era come se stessi cercando ancora di dimostrargli che aveva torto: dimostrare a lui che non è vero che nessuno è indispensabile. No, non sono patetiche frasi di circostanza. In qualsiasi attività mi cimentassi, il tormentone dell’indispensabilità continuava a perseguitarmi. E adesso? Adesso ne sono sicuro: ha sempre avuto ragione lui.