Pulp Fiction: La Spagna e il DiVX

PULP FICTION
1994
USA
REGIA:  Quentin Tarantino
Con: John Travolta, Samuel L. Jackson, Bruce Willis, Uma Thurman, Tim Roth

Il secondo Tarantino nella sua opera piú matura e geniale, dialoghi non-sense, frammentazione temporale, inquadrature ibride, il postmoderno é servito…

 

Ancora gli spettatori hanno fissa in mente la mitica sparatoria a tre tra Mr. White, Joe ed il figlio Eddie il Bello (Le Iene), quando nelle sale comincia a sgomitare Pulp Fiction. Il secondo Tarantino, ispirato, indiavolato, eccessivo, geniale e pirotecnico, quello che “teorizza” la schizofrenia del postmodernismo in cinema. Quel postmodernismo che si presenta a metà dei Novanta come contraddizione, o meglio come inbastardimento, di tutte quelle regolette che avevano giustificato la letteratura della celluloide nella sua storia. Quando Tarantino ritorna dietro la cinepresa lo fa con alcune certezze e con molte ideacce che frullano nella sua mente da accanito divoratore di pellicole.

Le certezze? Beh, che attori come Harvey Keitel o Tim Roth erano perfetti per recitare la vitaccia californiana più rocambolesca e grottesca, che la Band Apart era una certezza e che il non-sense calato nel mondo della malavita urbana (vedi i dialoghi improbabili di Reservoir Dogs) era quello che piú scuotesse le sue corde di incorreggibile amatore del poliziesco crudo italiano degli anni ’70. E le idee? Tante, tantissime, innanzi tutto quella di prendere quel cinema anni ’70 e sputtanarlo, ridicolizzando la sua violenza facile e i suoi gerghi da gangster. Oppure quello di mescolare in un solo grande pentolone tutta la mitologia pop dei Novanta con la sua maniacale follia commerciale contemporanea.

Ma partiamo dal titolo: Pulp Fiction. Il significato più inmediato è quello di narrativa stampata su carta di scarsa qualità, tanto scarsa quanto quella del suo contenuto. Ma quella Finzione-Fiction appare certamente come il manifesto concettuale di un film che di concettuale non ha molto se non l’insistere sulla sua NON CONCETTUALITA’. Lo spettatore matura, dopo pochi fotogrammi, di trovarsi di fronte ad un inganno, ad un continuo assurdo quasi a stringere i denti tra una risatina ed uno scalpore. I personaggi che popolano il film sono fantocci (“bene entriamo nei personaggi”), (anti)eroi dei fumetti o cartoni ai quali si può anche sfondare la testa con un incudine o imbrattarli di vernice rossa ma tanto reagiranno con la loro impassività ed il loro assurdo dondolare. E poi il vero capolavoro di Tarantino, e cioè quel massacrare la cronolgia delle sue storie. Forse il film più decisivo da questo punto di vista, Quentin gioca con le sue scene come a shangai, sparpagliando per benino le sue macrosequenze che comunque, per la loro maturitá teatrale probabilmente convincerebberero in qualsiasi altro ordine.

La frammentazione, la vasta gamma di inquadrature bastarde e una sceneggiatura ripiena di molte sciocchezze, di grandi marchi registrati, di stereotipi e luoghi comuni, di parolacce e slang, fanno di Pulp Fiction il film che apre il post-modernismo ma che forse lo chiude, considerando tutto quello che viene dopo come una rincorsa effimera e sciocca.
Vincent (un fenomenale John Travolta) è uno dei personaggi più spassosi, è gangster sanguinoso ma anche infallibbile cazzone, perde tempo a commentare leggende metropolitane o a divergere sulla carne di maiale o sul valore erotico di un massaggio ai piedi. E’ un bambinone con una bocca di fuoco in mano che combina casini, il suo compagno d’azioni punitive è Jules (Samuel L. Jackson), l’anima saggia del duo, a metá tra un nero strappato dai ghetti ed uno che vive di filosofia spicciola da strada. Ossessionato dai dogmi religiosi e con un verso della Bibbia buono per giustiziare (Ezechiele 25:17).

Le avventure di questi due buffoni da strada incroceranno quelle del povero Jimmy (Quentin Tarantino) a cui verrà invaso il garage da una macchina con un negro morto, di Mr. Wolf (Keitel) affascinante risolviproblemi cinico ed esperto, di Mia Wallace (Uma Thurman) tenebrosa lady moglie del boss Marcellus Wallace, cattivissimo capo dalla pelata nera a cui Vincent e Jule dovranno consegnare una valigetta dal contenuto biricchinamente celato dal regista, di Butch, pugile in declino peró imbattibile anche per i gangster che lo inseguono ed, infine, di coniglietta (Amanda Plummer) e zucchino (Tim Roth), ladruncoli in negozi di liquori.

La sceneggiatura (Oscar nel 1994) è forse quello che sconvolge maggiormente, i dialoghi inventati dal regista sono eccessivi, inutili, stupidi ma cult. Vale a dire concepiti con una magica e fenomenale formula che riesce ad incollarsi nell’immaginario del pubblico. Il linguaggio é pepato ed irriverente, e nessun personaggio nessuno riesce a fuggire da imprecazioni ed intercalari basicamente coloriti.

La sensazione guardando Pulp Fiction è che sarebbe una fortuna poterlo rivedere sempre per la prima volta, ma anche per chi vanta migliaia di visioni è garantita la scoperta di qualche particolare follemente nascosto dal genio Tarantino.

Nota: Palma d’Oro a Cannes e Oscar come migliore sceneggiatura originale nel 1994.

 

Riccardo Marra

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