Spesso allUniversità si affibbia larduo compito/obbligo di dover sfornare a più non posso giovani studenti preparati per il mondo del lavoro. Al suo interno, però, per una beffarda ironia della sorte, pullula di lavoratori precari e part-time, distribuiti in ogni ufficio di ogni facoltà dellAteneo catanese.
Il sit-in di protesta con tanto di tenda da campeggio in Piazza Università è cominciato giovedì 5 gennaio e, secondo le dichiarazioni dei sindacati, si prolungherà ad oltranza finché le richieste dei lavoratori insoddisfatti non verranno accettate, senza riserva alcuna, dal Rettore Ferdinando Latteri.
Le categorie interessate dalla protesta sono solo due al momento e nello specifico i PUC (progetti di utilità collettiva) e gli ASU (attività socialmente utili), entrambi chiamati comunemente ex-articolisti e provenienti dalle liste di collocamento. La Regione Siciliana da anni, in virtù di una normativa alquanto particolare e per certi versi discutibile (ex articolo 23 della legge finanziaria 1988), ha impiegato nel proprio organico una moltitudine di soggetti che, senza un assetto giuridico determinato, prestano unattività di lavoro da circa 17 anni con lumiliante caratteristica di un precariato inaccettabile. Si tratta, infatti, di soggetti non classificati quali lavoratori dipendenti e quindi non tutelati dai vigenti istituti previsti dalla legislazione sociale e che si trovano spesso con famiglia a carico. Solo alcuni di essi sono riusciti ad avere un concreto e definivo inserimento con tutti i diritti di legge in materia di lavoro.
Step1 ha cercato allora di fare un quadro specifico della situzione nella Facoltà di Lingue. Ebbene, secondo le dichiarazioni di Marcello Scurria (segreteria di presidenza), “i lavoratori precari che operano all’interno della Facoltà di Lingue in questo momento sono 11 distribuiti negli uffici della Presidenza, dellArea Didattica, della Portineria, del Medialab, delle aule di Via S. Maddalena e del C.G.A. in qualità di dipendenti di una cooperativa di servizi, e 6 presso lUfficio Relazioni Internazionali, la Scuola di italiano per stranieri, il C.G.A. e Web Master, inquadrati come Co.Co.Co.” Per un totale di 17 collaborazioni “atipiche”. (N.d.R.)
Ma torniamo alla situazione generale dellUniversità di Catania. Essendo da circa 16 anni nella condizione di lavoratori part-time, i lavoratori precari dellUniversità rivendicano il prolungamento delle ore lavorative dalle attuali 18 ore settimanali a 36 ore, con relativo raddoppiamento dello stipendio da 500 a 1000 allincirca. Di queste somme, lUniversità di Catania corrisponde solo il 10%, mentre il restante 90% è pagato dalla Regione Siciliana. Con un aumento delle ore lavorative, i 229 precari delluniversità asseriscono che anche gli studenti universitari otterrebbero dei benefici in termini di efficienza di uffici, snellimento di code, rapidità nella registrazione delle materie, ecc
In merito alla protesta abbiamo sentito Tony Catania, rappresentante del sindacato FLC (Federazione Lavoratori della Conoscenza) CGIL di Catania, nonché impiegato presso la segreteria della facoltà di Economia.
(Leggi qui lintervista realizzata da Step1)
Ma nellAteneo, gli ex-articolisti non sono le uniche figure lavorative atipiche. Le Facoltà, in nome di una certa libertà gestionale ed economica di cui godono, stipulano anche contratti a tempo determinato con collaboratori esterni, definiti dalla normativa sul lavoro Co.Co.Co. (Collaborazioni Coordinate e Continuative). Dal 24 ottobre 2004 i contratti di collaborazione coordinata e continuativa sono usciti di scena, per quanto riguarda gran parte del mondo del lavoro privato. A sostituirli è stato il contratto a progetto, un istituto inserito ex novo dalla legge Biagi, che offre maggiori garanzie contro il fenomeno dei lavori subordinati camuffati da Co.Co.Co. Il contratto a progetto rappresenta una diversa modalità di realizzare una collaborazione coordinata e continuativa. In questo caso, è indispensabile un contratto scritto, nel quale sia descritta la prestazione e il risultato da raggiungere. Le collaborazioni dovranno quindi essere ricondotte ad un progetto, oppure trasformate in lavoro autonomo, lavoro subordinato o nelle diverse forme contrattuali previste dalla riforma (art. 86 del dlgs 276/03). Fa eccezione, però, il pubblico impiego, che potrà continuare ad utilizzare Co.Co.Co.
Veniamo allultima categoria di lavoratori atipici presenti presso il nostro Ateneo: i soci lavoratori di cooperative. Quando il socio presta il proprio lavoro per la cooperativa instaura un vero e proprio rapporto di lavoro che può essere in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale. La retribuzione del socio non può essere inferiore rispetto ai minimi stabiliti dai contratti collettivi del settore o delle categorie affini; lo Statuto dei Lavoratori viene applicato tranne per l’art. 18. In caso di cessazione del rapporto associativo, quindi di perdita della qualità di socio a seguito di esclusione o recesso, cessa anche il rapporto di lavoro; il socio escluso senza giusta causa o giustificato motivo non può chiedere di essere reintegrato nel posto di lavoro; e per ultimo, i diritti sindacali previsti dal titolo III dello Statuto dei lavoratori possono essere esercitati solo in seguito alla stipulazione di un accordo collettivo stipulato tra le associazioni nazionali del movimento cooperativo e le organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative. Uno dei sindacati della categoria è il CDLC (Comitato Difesa Lavoratori Cooperative).
In merito alle condizioni di lavoro di questa “fetta” di precari, Step1 ha intervistato Enzo Ierna, dellUfficio Area Didattica della Facoltà di Lingue.
(Leggi qui lintervista a Enzo Ierna)
Risulta ora chiaro il perchè la macchina organizzativa degli uffici della nostra Università spesso pecca di lentezza e di conseguenza di inefficenza. Un Ateneo formato da una moltitudine di sfortunati precari che lavorano per sbancare il lunario, sempre più carichi di lavoro, non può funzionare al meglio. Se poi ci mettiamo nei loro panni, capiamo come in fondo chiedano soltanto di avere più certezze per il futuro loro e delle famiglie che mantengono. Speriamo solo che, qualsiasi soluzione venga adottata, non si facciano orecchie da mercante.
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