Due anni fa esordivo su queste pagine con l’articolo che più è stato commentato e forse apprezzato tra i numerosi che ho scritto per Iblalab.
Dotato di una strana virtù profetica raccontavo in anticipo di un giorno lo scenario che si sarebbe realizzato: la vittoria di una parte politica per il famoso rotto della cuffia.
La rottura del suddetto copricapo si è rivelata molto più profonda e dolorosa di quanto potessi prevedere. Così profonda da far fuoriuscire dalla infortunata testa quella che è la caratteristica più volatile dell’homo italicus: la memoria.
In un paese che è monumento, che è un susseguirsi di promemoria fisici del bello e del brutto che ci ha caratterizzato come nazione, ci aggiriamo come ciechi, sordi e muti e con le mani impegnate a turarci il naso. Privi dei nostri sensi, insensati per così dire, procediamo e ignoriamo, e non ricordiamo perché neanche memorizziamo.
Ora la realtà che si nasconde dietro la metafora dell’insensatezza è qualcosa di molto più serio, e di molto più tragico. Non siamo ciechi, non siamo sordi, e parliamo tanto, forse troppo. Non ci turiamo neanche il naso, perché forse in fondo respiriamo l’aria che vogliamo respirare: avete mai visto un puzzone lamentarsi della propria puzza? Sono gli altri a notarla, e anche nel nostro caso sono sempre gli altri a sentire quanto puzziamo.
In un altro articolo apparso su queste pagine inventavo la locuzione Oleo ergo sum riferendolo al genere umano nella sua fisicità, e ancora una volta mi trovo costretto a inasprire concetti già duri di per sé se dal genere umano passiamo alla specie uomo italiano: Oleo ergo sum ma mi ni futtu!. Così siamo.
Per cui faccio una proposta: l’indignazione, lo schifo, le parole false e inutili, per una volta teniamole da parte (avrei voluto usare una locuzione molto più diretta ma volgare), e vediamo di ricordarci di quelle poche persone che in virtù della loro sensatezza sono scomparse e fisicamente e nella memoria.
In questi giorni sto leggendo Pio La Torre una storia italiana di Giuseppe Bascietto e Claudio Camarca, un saggio in forma di romanzo biografico che racconta la vita del politico e dell’uomo che sfidò la mafia (2008, Aliberti Editore); uno degli autori è un mio caro amico, e sarei poco obiettivo nel recensirlo, ma parlo di questo romanzo per fare una domanda: ma chi era Pio La Torre?
Forse i lettori informati di Iblalab e Stepone conoscono vita, morte e miracoli di quest’uomo, ma al grosso pubblico rimane sconosciuto. È colui che ha inventato il reato di associazione mafiosa, e che subito dopo averlo ideato è stato ucciso. Era un politico ed era un siciliano. Ma non sembrava né l’uno né l’altro. Era figlio di contadini ma, ve lo assicuro, lui non puzzava. Lui come pochi, rispetto alle generazioni di siciliani che nel frattempo sono trascorse, e come troppi, quelli che sono stati uccisi dalla feccia più maleodorante che la nostra terra conosce: Placido Rizzotto. Peppino Impastato, Michele Reina, Carmine Pecorella, Piersanti Mattarella, Emanuele Basile, Cesare Terranova, Lenin Mancuso, Gaetano Costa, Boris Giuliano, Rosario Di salvo, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Emanuela Setti Carraro, Domenico Russo, Giangiacomo Ciaccio Montalto, Rocco Chinnici, Giuseppe Fava, Ninni Cassarà, Roberto Antiochia, Graziella Campagna, Antonino Saetta, Mauro Rostagno, Rosario Livatino, Antonino Scopelliti, Libero Grassi, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo, Vito Schifani, Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Walter Cusina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina, Agostino Catalano, Pino Puglisi.
Incredibile vero? E sono solo i nomi più noti, solo una parte minima della mattanza.
Ma perché sono morti? Perché era l’unico modo di assomigliarci?
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