Venticinque persone sono finite in carcere, tre ai domiciliari – tra cui due donne – e per un altro indagato, un carabiniere, è stata disposta la sospensione dall’esercizio delle funzioni. Sono questi i risultati dell’operazione Mondo opposto eseguita dai carabinieri a Niscemi e coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta che ha colpito un locale clan mafioso […]
«Punirne uno per educarne cento»: la vendetta dietro il progetto di uccidere l’imprenditore che denunciò l’estorsione
Venticinque persone sono finite in carcere, tre ai domiciliari – tra cui due donne – e per un altro indagato, un carabiniere, è stata disposta la sospensione dall’esercizio delle funzioni. Sono questi i risultati dell’operazione Mondo opposto eseguita dai carabinieri a Niscemi e coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta che ha colpito un locale clan mafioso che aveva già pronto l’omicidio di un imprenditore che aveva denunciato un’estorsione.
«Non si tratta – ha detto il procuratore di Caltanissetta Salvatore De Luca – della solita operazione antimafia. Questa ha delle peculiarità chiare: dobbiamo riaffermare che Cosa Nostra, che è sul territorio da circa 160 anni, non è un comitato d’affari ma è mondo opposto. Il fatto più grave è quello ricondotto a colui che è stato ritenuto il capo mandamento di Gela, Alberto Musto». Il procuratore si è poi concentrato ad analizzare il progetto di uccidere un imprenditore che «aveva osato denunciarlo circa dieci anni prima. Non si tratta solo di chiacchiere o di un moto di rabbia. Il progetto dell’uccisione – sottolinea De Luca – è stato fermato solo grazie alla tempestività delle forze di polizia che sono sempre stato accanto alla Dda».
Il procuratore ha chiarito inoltre che per il progetto dell’omicidio «c’era già l’autista pronto su un’auto rubata. Una delle pistole doveva essere fornita dai presunti killer che arrivavano da Catania. Si trattava di un omicidio che avrebbe dovuto avere una funzione punitiva. I fratelli Sergio e Alberto Musto provavano un odio profondo per questo soggetto che aveva contribuito a condannare Alberto. Ma non aveva – ha concluso De Luca – solo una funzione di vendetta. Vi è una frase in cui Musto afferma “punirne uno per educarne cento. Non è possibile che qualcuno denunci e rimanga impunito perché altri potrebbero seguirlo a ruota“».
In carcere sono finiti: Alberto Musto (37 anni), Sergio Musto (35 anni), Andrea Abaco (27 anni), Francesco Amato (53 anni), Giuseppe Auteri (42 anni), Emanuele Burgio (51 anni), Luigi Cannizzaro (59 anni), Vincenzo Cannizzaro (35 anni), Francesco Cantaro (47 anni), Francesco Cona (26 anni), Davide Cusa (30 anni), Renè Salvatore Di Stefano (33 anni), Alessandro Fausciana (45 anni), Gaetano Fausciana (54 anni), Salvatore Fausciana (24 anni), Gianni Ferranti (64 anni), Giovanni Ferranti (40 anni), Salvatore Giugno (55 anni), Giuseppe Manduca (57 anni), Francesco Piazza (59 anni), Antonio Pittalà (32 anni), Salvatore Signorino Pittalà (61 anni), Carmelo Raniolo (49 anni), Paolo Rizzo (69 anni), Francesco Alessio Torre (46 anni), Carlo Zanti (69 anni). Ai domiciliari il poliziotto in pensione, Salvatore Giugno (55 anni) e due donne di cui non sono stati resi noti i nomi.