Per la terza volta un testimone non si è presentato all’udienza del processo con rito ordinario per l’omicidio volontario aggravato del parà siracusano Emanuele Scieri, trovato morto all’interno della caserma Gamerra di Pisa nell’agosto del 1999. Si tratta dell’ex caporale Stefano Ioanna. La volta scorsa, dopo che per lui era stato già disposto l’accompagnamento coatto, aveva presentato un certificato medico. Per questa udienza, i carabinieri sono andati a prenderlo nella sua abitazione alle 6 del mattino per portarlo nell’aula del tribunale di Pisa dove si sta svolgendo il procedimento riaperto a più di vent’anni di distanza dai fatti. L’uomo però, pur essendo stato avvisato, in casa non c’era e di lui non si ha nessuna notizia. «In passato ha sempre parlato», fa notare a MeridioNews l’avvocata Alessandra Furnari che, insieme al collega Ivan Albo, rappresenta i familiari di Scieri che si sono costituiti parte civile nel processo.
E, in effetti, nelle due sedute della commissione parlamentare d’inchiesta sul caso, nel 2017, Ioanna aveva risposto alle domande della presidente Sofia Amoddio e degli altri componenti, dando anche informazioni importanti. Era stato lui a raccontare di avere subito «atti di sopruso» da parte di Alessandro Panella, imputato nel procedimento insieme all’altro ex caporale Luigi Zabara. Sono stati invece assolti in primo grado il sottufficiale dell’esercito Andrea Antico per lo stesso reato e gli ex ufficiali della Folgore Enrico Celentano e Salvatore Romondia che erano accusati di favoreggiamento. Per questo la procura ha fatto appello. «Quando mi veniva a trovare al casermaggio Panella – aveva detto Ionna – […] diciamo che si passavano delle orette poco piacevoli […], diciamo che la mia tranquillità finiva». Ripercorrendo gli episodi di quell’anno, Ioanna aveva riferito di «flessioni con pugni, gomitate sulle mani, pugni dorsali […] Avevo accettato di subirlo, quindi non mi sono mai lamentato […] perché era la regola».
Intanto, nel corso dell’ultima udienza, è stato ascoltato l’ex caporale Emanuele Cinelli. Aiuto-istruttore all’epoca dei fatti, è tra quelli che sono stati condannati per concorso personale in violenza aggravata contro inferiori per quanto accaduto sugli autobus nel viaggio da Firenze a Pisa del 13 agosto del 1999 (il giorno stesso della morte di Scieri che verrà ritrovato cadavere solo tre giorni dopo). Un percorso di quasi 70 chilometri durante il quale le reclute sono state costrette a viaggiare con finestrini chiusi, riscaldamento acceso, rigoroso silenzio, divieto assoluto di addormentarsi, obbligo di stare seduti nella posizione della sfinge (con la schiena dritta ma non appoggiata allo schienale). Come molti, anche lui quella sera era libero, ma è tornato a dormire in caserma. Per ore ha risposto alle domande del pubblico ministero e degli avvocati delle difesa e di parte civile. Molte in merito a vecchie intercettazioni: quelle in cui parlando con Ivan Mesiti – altro condannato per il viaggio – dice di dire a un terzo commilitone, Simone Tatasciore, di dichiarare che durante il contrappello di quella sera dormiva, così come aveva già riferito lui. «Eravamo preoccupati perché era venuta fuori la vicenda della posizione della Sfinge in bus – ha spiegato Cinelli durante l’udienza – che però è una tradizione che si è sempre fatta in quel viaggio. Solo dopo la morte di Scieri sono iniziate le lamentele e le denunce».
È stato poi il procuratore Alessandro Crini a chiedere al testimone un parere in merito all’intercettazione in cui l’imputato Zabara, parlando con un amico, dice che secondo la sua ricostruzione, la morte di Scieri sarebbe legata alla vicenda del viaggio sul pullman e che quindi i responsabili potrebbero essere gli stessi. «Io non devo fare nessuna valutazione – ha risposto Cinelli con un sorriso sornione stampato sul volto – perché non è di mia competenza. Del resto, lo ha detto un imputato, mentre io non sono imputato». La parte finale dell’udienza è stata poi dedicata all’audizione di un carabiniere che si è occupato delle indagini sia all’epoca dei fatti che, di recente, per la procura militare che aveva chiesto il trasferimento dell’indagine «per competenza e giurisdizione». Dopo un periodo in cui le indagini sono andate avanti parallelamente, è stata la Corte di Cassazione a risolvere il conflitto e affidare il processo alla magistratura ordinaria.
Leggi il dossier di MeridioNews sul caso di Lele Scieri.
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