«La storiella delle violenze» e il «complotto»: parola alle difese nel processo al santone Capuana

«Sono vittima di un complotto». Si è aperta con questa parole, pronunciate dall’imputata Katia Concetta Scarpignato, l’udienza del processo 12 apostoli che vede alla sbarra il santone Pietro Capuana e le tre donne considerate sue ancelle sacerdotesse. L’ormai ultraottantenne – che non era presente nell’aula del tribunale di Catania e per cui il legale ha presentato un certificato medico – è accusato di abusi sessuali su delle giovani, all’epoca dei fatti anche minorenni, avvenute nel contesto della comunità della chiesa Lavina di Aci Bonaccorsi (in provincia di Catania) di cui era leader. Concluse le discussioni delle parti civili, già durante la scorsa udienza sono iniziate quelle degli avvocati della difesa. Dopo Fabiola Raciti che ha dichiarato di avere fatto tutto «per spirito cristiano ed evangelico», oggi è stata la volta delle altre due imputate – Katia Concetta Scarpignato e Rosaria Giuffrida – tutte accusate di associazione a delinquere finalizzata alle violenze. Entrambe hanno deciso di rendere dichiarazioni spontanee prima di lasciare la parola ai difensori.

«Sono vittima di un complotto»

La prima a sedersi di fronte alla corte è stata Katia Concetta Scarpignato che ha usato solo poche parole per ribadire la propria innocenza. «Sono vittima di un complotto e sono completamente estranea a questa vicenda», esordisce l’imputata che dichiara di non avere avuto nulla a che fare con le ragazze «che non facevano parte della mia vita». Una vita che poi, stando a quanto ricostruire Scapignato proprio a causa delle accuse che la riguardano, sarebbe stata «disintegrata. Ho subito un calvario. Sono anche stata licenziata. Ma – conclude – la mia verità è stata sempre lineare». Per l’imputata, la pubblico ministero Agata Consoli ha già chiesto una condanna a 14 anni di reclusione.

«Per me era tutto normale»

Inizia da lontano, invece, il racconto più lungo che fa in aula Rosaria Giuffrida. Parte da quando, ancora ragazza e addolorata per la morte di un cugino in un incidente stradale, conosce la comunità «tramite una persona speciale e particolare, mio zio». Padre Stefano Cavalli, uno dei fondatori dell’associazione cattolica Cultura e Ambiente insieme a Capuana. «Non ho mai visto niente e non mi hanno mai raccontato niente», sostiene ricordando che anche i suoi figli frequentavano la comunità. «Mia figlia partecipava anche ai turni a casa di Capuana. In caso contrario, non l’avrei permesso». Tra le ragazze che hanno denunciato, c’è anche l’ex fidanzata di suo figlio. «Non ho mai percepito nulla. Per me era tutto normale, altrimenti mi sarei ribellata», afferma la donna che era l’addetta ai turni. «La domenica sera annotavo le disponibilità – racconta – per le pulizie e per accompagnare Piero (Capuana. ndr) a fare una passeggiata o un giro in macchina». Attività che, nella ricostruzione dell’imputata, nulla avrebbero a che vedere con abusi e violenze che alle vittime sarebbero stati presentati, secondo le accuse, come «atti di purificazione» da parte di un anziano che si era autoproclamato la reincarnazione dell’arcangelo Gabriele. «Per me non è facile essere oggi qui – conclude – ma ho cercato tutte le mie forze per confermare la mia innocenza».

La «preghiera» del difensore

Esordisce poi con una «preghiera» il legale che difende Rosaria Giuffrida: «Chiedo di sfrondare il processo dalle suggestioni e di lasciare fuori i condizionamenti». L’avvocato Giuseppe Grasso cita una serie di intercettazioni, parla della vicenda della festa di San Valentino per sole donne e di quella di San Giuseppe per gli uomini e ammette che il bacio a stampo era un rito. «Era una comunità religiosa che aveva delle regole che ci possono piacere o non piacere. Non possiamo fare un processo sul contesto o sulle abitudini». Nella ricostruzione del legale, le «punizioni» – tipo l’esclusione dalle feste – non sarebbero state riservate alle ragazze che «non si concedevano sessualmente a Capuana (contrariamente a quanto dichiarato dalle vittime, ndr), ma a chi non metteva impegno nelle attività della comunità», afferma l’avvocato prima di chiedere per la sua assistita – per cui la pm ha chiesto una condanna a 14 anni di carcerel’assoluzione in formula piena.

La «storiella» delle violenze sessuali

Stessa richiesta che fa l’avvocato Mario Brancato per il sedicente santone Capuana, per cui sono stati chiesti 16 anni di carcere. Dopo un excursus sull’Acca a partire dall’anno di nascita (1973) come «gruppo spontaneo di preghiera con carattere mistico che non è una comunità di sprovveduti», il difensore comincia la sua arringa facendo riferimento ad atti – che riguardano le dichiarazioni rese dalle vittime – che sarebbero a suo avviso inutilizzabili: «Utilizzarle sarebbe violentare il codice», dice Brancato puntando sulla non credibilità e sulla incapacità a testimoniare della prima ragazza che ha denunciato tutto. «Aveva un insegnante di sostegno e, secondo noi, soffriva di epilessia», sentenzia il legale sostenendo che le vittime si «sono messe d’accordo, mentono spudoratamente per un interesse economico: sanno benissimo – continua Brancato – che Capuana è benestante. E ci raccontano la storiella delle violenze sessuali». Per il legale che lo difende, il santone avrebbe «soltanto la colpa di essere stato il capo di una comunità che dava fastidio perché aveva cinquemila fedeli». La prossima udienza del processo, durante la quale è prevista anche la sentenza, è stata fissata per metà ottobre.


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