Processo Noce, confermato ergastolo a Gagliano «Finalmente è finita, ce l’abbiamo fatta»

«Questa corte dichiara inammissibile il ricorso in appello». Si è concluso così il procedimento di secondo grado contro Loris Gagliano, il ventisettenne calatino che il 27 dicembre 2011 ha ucciso la sua ex fidanzata, la ventiquattrenne Stefania Noce, e il nonno di lei, il settantunenne Paolo Miano. A un anno dall’inizio dell’Appello, il giudice Luigi Russo ha accolto l’istanza di rinuncia all’impugnazione della sentenza di primo grado, più volte formulata dall’imputato nel corso delle udienze, e ha così reso definitiva la condanna all’ergastolo che era stata inflitta a Gagliano dal tribunale di Caltagirone. «Questo processo doveva concludersi così», commenta Pierpaolo Montalto, legale di Giovanni Noce, padre di Stefania. «Viene così confermata – sostiene – una sentenza giusta».

La richiesta d’Appello era arrivata a novembre dello scorso anno, quando l’avvocato Giuseppe Rabbito, legale della difesa, aveva sostenuto che Loris Gagliano fosse incapace di intendere e di volere. Confortato nella sua ipotesi dalla perizia psichiatrica di Eugenio Aguglia, docente ordinario di Psichiatria all’università di CataniaSecondo il documento stilato dal professore, il giovane assassino sarebbe stato «affetto da un disturbo narcisistico della personalità». Ma, nel corso dell’udienza successiva, era stato lo stesso Gagliano a smentire lo psichiatra, sostenendo che fosse stata falsificata la sua firma in calce ad alcuni disegni usati per sostenere la sua infermità mentale. A sconvolgere ulteriormente lo svolgimento del processo, una lettera manoscritta: «Chiedo l’annullamento del ricorso in Appello», scriveva Loris Gagliano, in un messaggio indirizzato alla Corte, il 4 febbraio 2014, giorno del compleanno di Stefania. Se il giudice avesse accolto quel giorno la sua richiesta, sin da allora la condanna all’ergastolo sarebbe stata definitiva. Ma Luigi Russo ha scelto la strada della cautela: «Prima finisca le perizie psichiatriche», ha detto il magistrato.

Da quel momento in poi, un test dietro l’altro, è iniziato il valzer delle perizie. Nell’attesa che venisse depositata quella dei due specialisti d’ufficio, Francesco Bruno e Bruno CalabreseProroga dopo proroga, il documento da loro stilato – più di un centinaio di pagine – è stato discusso a giugno. Secondo i due esperti, «Loris Gagliano era mentalmente semi-infermo al momento del fatto». A essere d’accordo con loro, solo il perito della difesa. Tutti gli altri – quello nominato dalle parti civili e quelli convocati da Torino dal procuratore Giulio Toscano – nel definire i comportamenti di Gagliano hanno detto: «Era solo strano». Su un elemento, però, l’accordo era bipartisan: il ragazzo era in grado di comprendere l’iter processuale e le conseguenze delle sue azioni.

È quest’ultimo l’elemento che il pm e i legali dell’accusa hanno messo al centro delle loro arringhe. Se Gagliano è capace di capire i suoi diritti, allora la rinuncia all’Appello – ribadita dall’omicida il 4 novembre – doveva essere valida. Per valutarlo, però, ci sono voluti dodici mesi di udienze. Finite stamattina, un giorno prima della giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Nelle disposizioni preliminari, in attesa delle motivazioni della sentenza che arriveranno tra 90 giorni, Loris Gagliano viene condannato al risarcimento delle spese processuali. Mentre la Corte comunicava la sua decisione di annullare il procedimento d’Appello come da richiesta dell’imputato, il quale adesso deve scontare l’ergastolo senza attenuanti, 14 associazioni presidiavano piazza Verga. Tra queste, la Thamaia onlus, costituitasi parte civile, e l’associazione Sen, che da Stefania Erminia Noce, vittima di femminicidio – com’è scritto nella targa a lei dedicata a Licodia Eubea – prende il nome. E proprio quest’ultima, per voce di Franco Barbuto, annuncia: «Chiederemo al Comune di Licodia Eubea di investire il risarcimento che gli è dovuto, in quanto parte civile, nell’apertura di uno sportello di ascolto dedicato alla violenza di genere. È necessario dare un segnale e dimostrare, coi fatti, che le donne possono trovare un sostegno istituzionale».

«Definirci contenti della sentenza è una parola grossa», interviene Nadia Furnari, dell’associazione Rita Atria. «La giustizia ha fatto il suo corso – dice – Ma si è dimostrato ancora una volta che lo Stato è del tutto assente dal punto di vista politico». Nel processo Noce, alla famiglia «non è mancato solo il sostegno economico, ma anche il sostegno psicologico. Nessuno si è preoccupato di una madre che ha visto sua figlia in una pozza di sangue. Certo, Gagliano è stato condannato a un risarcimento danni e al pagamento delle spese processuali: nessuna di queste due cose avverrà mai, perché lui è nullatenente». Servirebbe, secondo Furnari, «capire  che in Italia c’è un problema grosso e si chiama femminicidio». Per questo sarebbe importante che il giudice Luigi Russo lo ribadisse nelle motivazioni della sentenza, cosa già avvenuta in primo grado. Nel frattempo, però, amici e parenti delle vittime tirano un sospiro di sollievo: «Finalmente è finita – dicono – ce l’abbiamo fatta».


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