Priolo, l’incendio e le vie di fuga

La zona petrolchimica nata cinquant’anni fa nella costa siracusana doveva essere il volano del sogno industriale siciliano. Quel sogno è fallito miseramente e il “mostro chimico” si erge luminoso distruttivo, inquinante. I posti di lavoro creati con l’avvento delle industrie sono stati e sono tutt’ora pagati a caro prezzo, basti pensare all’alto tasso di bambini nati con malformazioni in tutto il comprensorio.

 

L’incendio scoppiato lo scorso 30 aprile è solo uno dei tanti occorsi in tutti questi anni. Uno dei più grandi riguardò l’ Icam (Ipresa congiunta Anic Montedison) il cui impianto fu distrutto completamente. Quella notte del 1985 era il 19 maggio, morirono dei lavoratori e una donna di Priolo mentre tentava di fuggire incolonnata in macchina. Il suo cuore non resse alla paura, in molti tentarono di fuggire da Priolo, le macchine rimasero intrappolate nell’unica di via di fuga.

 

I rischi e la paura continuano, e la sicurezza? Quando le fiamme si sono alzate, la sera del primo maggio, la mente sarà tornata a quella sera. Molti, anche nei comuni limitrofi di Augusta ed Avola, hanno avuto paura e soprattutto a Priolo hanno deciso di abbandonare la città. Ora ci sono più vie di fuga e c’è anche un sistema di megafoni altoparlanti, con cui il sindaco Massimo Toppi ha però invitato i cittadini a non abbandonare le case perché c’era il rischio che la nube tossica arrivasse in città, ma poi fortunatamente l’ha spinta verso il mare.

 

Priolo è una città che vive e convive col terrore, oltre che con l’odore acre di uno dei poli petrolchimici più grandi d‘Italia. “Ogni primo giovedì del mese in città fanno la prova per vedere se i megafoni funzionano” – ci spiega un tecnico che lavora all’impianto Erg. Preferisce che non si pubblichi il suo nome, perché “non si sa mai”. Ci racconta che “nello stabilimento la sicurezza dei lavoratori viene continuamente monitorata. Il problema sono gli impianti: sono vecchi di 50 anni, fatiscenti.” Il suo settore non è quello dove è scoppiato l’incendio e “non sono riuscito a capire cosa sia successo”. Proviamo a fare qualche ipotesi, ad ipotizzare un nesso di causa-effetto con l’età degli impianti. “Non posso escluderlo, ma non si ha nessuna certezza”. Ci racconta come nell’impianto Erg ci siano diverse ditte esterne che lavorano, anche alla sicurezza, “se segnaliamo qualche rischio, o qualcosa che non funziona alla ditta che si occupa della manutenzione, la stessa ha previsto dei premi, delle ricompense”. Il problema è proprio nella sicurezza di questi impianti e nei piani di sicurezza che riguardano le popolazioni che vivono da queste parti.

 

Se le fiamme dopo circa 80 ore di emergenza si sono definitivamente spente, le polemiche sulla sicurezza divamperanno ancora per molto. “Incidenti come questi non dovrebbero accadere” – dichiara Enzo Parisi vice presidente di Legambiente Sicilia. “Non sappiamo ancora per certo cosa sia successo, però sembrerebbe che ci sia stata una scintilla, durante la fase di manutenzione di un tubo dove viene trasportato del greggio, che ha fatto scoppiare l’incendio” – ci spiega. “E’ normale che in migliaia di chilometri di tubature ci possano essere dei guasti, dei buchi, è però anche normale che in fase di riparazione si prendano tutte le precauzioni possibili, come ad esempio evitare che nel punto dove si sta applicando una toppa ci sia del greggio. Saranno forse state sottovalutate le norme interne di sicurezza relative alle riparazioni?”

  

E sulla direttiva Severo, più volte tirata in ballo in questi giorni, continua spiegandoci che “fa riferimento a due piani di sicurezza, un primo interno riguarda lo stabilimento, un secondo riguarda l’esterno e le popolazioni limitrofe. Solo Priolo ha un impianto di megafoni per avvisare la cittadinanza su ciò che succede. Ad Augusta, che in linea d’area dista due chilometri dall’incendio i cittadini hanno saputo cosa fare solo grazie alle notizie dai Tg. Stesso discorso per Avola e Siracusa nord. Inoltre c’è un problema ben più grave, la gente tende a dimenticare e chi è preposto alla sicurezza dovrebbe far di tutto per tenere alta la tensione e invece non si sono mai fatte delle reali prove di evacuazioni di queste città”.

 

Già, pare che le prove le facciano solamente la protezione civile e le forze dell’ ordine, senza coinvolgere i cittadini. Aggiunge, infine, molto preoccupato “nel 1990 quest’area è stata definita ad alto rischio ambientale, nel 1995 è stato stabilito un piano di risanamento che non è mai stato attuato e attualmente c’è un concreto rischio di ampliamento di impianti che potrebbero provocare incidenti rilevanti, ovvero che danneggino le popolazioni e i territori vicini agli stabilimenti”

Rocco Rossitto

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