Primo marzo, un giorno senza migranti

Nel gennaio 2010 usciva per Laterza un libro di Vladimiro Polchi dal titolo “Blacks out, un giorno senza immigrati”. Il racconto, tra finzione e realtà, di una giornata di sciopero dei migranti, immaginata come il caos totale: cantieri edili fermi di colpo, fabbriche chiuse, mercati ortofrutticoli vuoti, saracinesche di pizzerie e ristoranti abbassate, panico tra le famiglie senza più badanti, colf e babysitter, boom di ricoveri di anziani e disabili negli ospedali. Uno sciopero «che, se mai accadesse, ci metterebbe in ginocchio».

Martedì 1 marzo, per la seconda volta in Italia, lo sciopero dei migranti immaginato dal giornalista nel suo romanzo è diventato realtà. “Un giorno senza di noi”, lo ha intitolato nel suo appello il “Movimento primo marzo”. Un giorno senza di noi migranti, ma anche senza di noi italiani estranei al razzismo. Insieme senza confini per rivendicare diritti, dignità e libertà; per chiedere l’applicazione e l’estensione dell’articolo 18 del testo unico sull’immigrazione come tutela per tutti i lavoratori che denunciano di essere stati costretti all’irregolarità del lavoro, l’abolizione del permesso di soggiorno a punti e l’attivazione di misure, anche di tipo economico, atte a garantire il diritto ad apprendere l’italiano e a studiare, il passaggio dal concetto di ius sanguinis a quello di ius soli come cardine per il riconoscimento della cittadinanza e una legge che tuteli rifugiati e richiedenti asilo; ma anche per protestare contro il razzismo, lo sfruttamento, la sanatoria truffa, la legge Bossi-Fini, il reato di clandestinità, il pacchetto sicurezza e i Cie.

Da Padova a Palermo le manifestazioni e i presidi sono stati tanti. A Bologna un centinaio di attivisti dei centri sociali hanno raggiunto le gabbie del Cie e ottenuto, dopo un’ora e mezzo di confronto da fuori, di far entrare una delegazione, mentre all’interno del centro i migranti davano fuoco ai materassi e scagliavano sedie, per denunciare lo stato di detenzione e le condizioni da lager cui sono costretti.

A Padova 43 migranti marocchini, nigeriani e senegalesi, dopo quattro giorni di presidio di fronte alla Prefettura, sono saliti sulle impalcature della basilica di Sant’Antonio per denunciare la truffa di cui sono stati vittime: con la promessa di essere regolarizzati e ottenere il permesso di soggiorno hanno pagato tra i 1500 e i 5000 euro a un’organizzazione malavitosa poi scomparsa. Oggi rischiano l’espulsione. A Roma, nonostante la pioggia insistente e il freddo, un corteo di migranti, studenti, sindacalisti, donne della comunità somala ha sfilato per le vie dei quartieri San Lorenzo ed Esquilino. In queste e tante altre piazze la giornata è stata dedicata a Nouraddine Addane, un ambulante tunisino morto a Palermo dopo essersi dato fuoco per protesta contro le continue sanzioni subite dai vigili urbani. Un gesto estremo che ricorda quello compiuto da un suo connazionale qualche settimana fa in Tunisia, che ha acceso la miccia delle rivolte nel Maghreb, cui tutte le iniziative del primo marzo hanno dimostrato solidarietà al grido “siamo tutti libici, tunisini, egiziani”.

Nonostante abbia ricevuto scarsissima attenzione mediatica, questa giornata cade in un momento che la rende più attuale che mai: si discute in questi giorni del “Villaggio degli aranci” di Mineo dove è previsto l’arrivo di 2000 profughi e richiedenti asilo in fuga dalle guerre, come anche della riproposizione della politica dei respingimenti con l’azione di Frontex. Ma intanto sembrano incepparsi alcuni meccanismi repressivi in atto in Italia da anni: dovrebbe infatti entrare in vigore la direttiva europea 2008/115 Ce, che non riconosce l’idea di reato di clandestinità; e il Consiglio di Stato si è pronunciato sulla questione dell’ostatività alla regolarizzazione di colf-badanti causata dall’introduzione proprio del suddetto reato: le domande che erano state respinte a causa di precedenti provvedimenti di esplusione saranno rimandate ai Tribunali di merito e le persone coinvolte potranno rimanere in Italia con un regolare permesso di soggiorno temporaneo in attesa del ricorso.


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