Andrea Maugeri, una laurea in Biologia sanitaria e un dottorato in Biomedicina traslazionale, collabora con un gruppo di ricerca internazionale sulle malattie cardiovascolari. Le attività che si compiono con un cane migliorano la salute, dice la scienza
«Prendersi cura del proprio cane fa bene al cuore» Lo studio di un ricercatore etneo in Repubblica Ceca
Avere un cane fa bene alla salute, lo dice la scienza. E a pochi giorni dalla giornata mondiale dedicata al migliore amico dell’uomo, il ricercatore catanese Andrea Maugeri racconta a MeridioNews come il nostro amico a quattro zampe migliori la nostra qualità di vita. «Possedere un cane migliora dal punto di vista di secrezione ormonale i parametri metabolici e cardiovascolari dell’individuo, a prescindere da età, sesso, dieta e attività fisica svolta», spiega il ricercatore dell’università di Catania, una laurea in Biologia sanitaria e un dottorato di ricerca in Biomedicina traslazionale, che oggi collabora con il gruppo guidato dalla professoressa Antonella Agodi che si occupa di epidemiologia, sanità pubblica e studio delle relazioni tra fattori di rischio e malattie trasmissibili (infettive) e non trasmissibili (come quelle cardiovascolari, appunto).
«Da due anni – racconta Maugeri – nell’ambito di una collaborazione tra l’università di Catania e l’International clinical research centre al St. Anne’s university hospital di Brno (Repubblica Ceca) stiamo dando supporto a uno studio che ha l’obiettivo di valutare fattori di rischio sia tradizionali che innovativi e poco conosciuti legati alle malattie cardiovascolari». Da qui nasce la ricerca che indaga il rapporto tra uomo, cane e salute, effettuata sulla popolazione della Repubblica Ceca e pubblicata sulla rivista scientifica Mayo clinic proceedings.
«Questo studio nasce da un paradosso: in Repubblica Ceca l’incidenza delle malattie cardiovascolari è abbastanza elevata rispetto agli altri Paesi europei, nonostante la popolazione ceca segua più di altre alcune delle raccomandazioni principali, come l’esercizio fisico, la dieta equilibrata e il fumo ridotto». Per capire cosa c’è alla base delle incidenze elevate delle malattie cardiovascolari, quindi, il gruppo ha iniziato a identificare fattori a oggi meno conosciuti.
«Confrontandoci con il professor Francisco Lopez della Mayo Clinic, co-autore del lavoro, abbiamo iniziato a chiederci se ci fosse una relazione tra il possedere un animale domestico e il rischio cardiovascolare, anche sulla scia di alcuni studi che cominciavano a suggerire questa possibile relazione». Studi che però presentano e offrono risultati controversi, anche perché molto dipende dal tipo di animale che si possiede e dal rapporto che si instaura tra l’animale e il proprio padrone. «Se ho un cane ma non lo porto a spasso, non ci passo del tempo e non me ne occupo non incide dal punto di vista cardiovascolare», conferma Maugeri. Non è dunque comprare un cane, adottarlo o farselo regalare che improvvisamente fa migliorare la salute, ma tutte le attività che dipendono dalla sua presenza in casa e nella nostra vita.
«Lo studio risulta interessante perché abbiamo confrontato chi possiede un cane con chi invece ha altri animali da compagnia come gatti, criceti, uccellini, cavalli, pesci (anche se questi ultimi sono stati esclusi per la mancanza di interazione con l’uomo, ndr)». E chi ha un cane, sembra scontato dirlo, beneficia di più della sua presenza dal punto di vista cardiovascolare. «Questo perché è stato dimostrato che chi ha un cane segue un’alimentazione più sana rispetto a chi non ce l’ha, fa più attività fisica – basti pensare alle almeno tre passeggiate al giorno per portarlo fuori – e migliora le relazioni sociali perché incontra altri padroni con cui può scambiare quattro chiacchiere».
Ma non finisce qui. Il principale obiettivo futuro è capire se tra chi possiede un cane ci possano essere altri sotto gruppi che ne beneficiano di più o di meno, monitorando la relazione che ogni padrone ha con il proprio cane e confrontando la popolazione ceca con quella italiana, e in particolar modo siciliana. «Ci sono stili di vita, in primis la dieta ma anche il consumo di alcol, notevolmente diversi tra le due popolazioni. E vogliamo studiare quali di questi ha maggiore impatto sul rischio cardiovascolare, tenendo in considerazione tutti i fattori, da quelli socio culturali a quelli economici».