«Impressionante» è la parola più usata per descrivere l'approdo di ieri del natante che trasportava anche l'eritreo la cui salma si trova adesso all'ospedale Maggiore di Modica. «Quelle persone erano pelle e ossa, mi sono tornate in mente le immagini dei campi di concentramento», dice il sindaco Roberto Ammatuna
Pozzallo, il migrante morto dopo lo sbarco «Muoiono di fame e non solo per le bombe»
Aveva compiuto 24 anni da pochi giorni – il 6 marzo per l’esattezza – il giovane eritreo che ieri sera è morto all’ospedale Maggiore di Modica. Trasferito lì dal porto di Pozzallo dove era arrivato fortemente malnutrito e con problemi respiratori, subito dopo lo sbarco dalla nave della Ong spagnola Open Arms con a bordo 91 migranti provenienti dal Corno d’Africa.
Il ragazzo era stato fatto scendere per primo e immediatamente soccorso e rifocillato. Dopo qualche ora, però, le sue condizioni erano peggiorate, fino alla morte. Adesso, la salma si trova nella camera mortuaria del Maggiore, ed è probabile che il magistrato disponga l’autopsia. «I miei colleghi si sono subito resi conto che era in condizioni critiche – racconta Riccardo Gatti, un operatore della Proactiva Open Arms – ma a bordo si era un po’ ripreso, quindi vorremmo capire anche noi cosa è successo. Il nostro coordinatore medico – aggiunge – si sta mettendo in contatto con le autorità sanitarie italiane per vederci chiaro. Abbiamo appreso la notizia della morte dai media, e siamo molto scossi. Lungo quella rotta stanno morendo molte persone, troppe».
In prima linea durante le operazioni di sbarco, come sempre in questi casi, da anni il dottor Vincenzo Morello. «Deperito, con i parametri vitali al limite», così descrive il giovane eritreo deceduto il medico che di approdi come quelli di ieri ne ha visti a migliaia. «Ci siamo trovati di fronte una scena che nel 2018, nella civilissima Europa, pensavo fosse impensabile – aggiunge il sindaco di Pozzallo, Roberto Ammatuna – Quelle persone erano pelle e ossa, mi sono tornate in mente le immagini dei campi di concentramento di Auschwitz e Mauthausen. Mi è sembrato di fare un salto indietro di 70 anni, verso quell’orrore».
La maggior parte dei compagni di viaggio del giovane è denutrita e indebolita, molti hanno la scabbia e altri cinque sono stati ricoverati. Nessuno sa di preciso da quanto tempo fossero senza acqua né cibo. «Impressionante» è la parola più pronunciata dal primo cittadino che ha assistito allo sbarco nella veste anche di medico. «Il ragazzo in questione era ormai incapace di reagire perché il suo sistema immunitario era azzerato dalla debolezza».
«Ci sono sbarchi e sbarchi – aggiunge Ammatuna – e molto dipende dalla nazionalità. I tunisini, per esempio, raramente presentano problemi fisici. Altri, soprattutto quelli provenienti da Eritrea ed Etiopia, arrivano qua in condizioni pietose, dopo lunghissimi viaggi fatti a piedi o con mezzi di fortuna, senza cibo, e imbarcati dopo aver trascorso un periodo in veri campi di concentramento. Da questo punto di vista, la linea di demarcazione tra i migranti economici e quelli che scappano dai paesi in guerra non è molto netta: si muore anche di fame, non solo per le bombe».
Con un comunicato, la prefettura di Ragusa precisa che il decesso del migrante sarebbe avvenuto non per fame ma per «pregressa grave malattia in fase terminale».