Pop up the volume, Mario Venuti tra presente e futuro

Settembre porta con sé il ricordo amaro di un’estate fuori dal comune per chi vive la musica. E ci permette di assaporare le ultime note degli eventi all’aperto, nell’incertezza di cosa accadrà quando la musica dovrà spostarsi al chiuso. Tra gli eventi in cartellone per Catania Summer Fest, il concerto di Mario Venuti il 18 settembre alla Villa Bellini. Inauguriamo proprio con lui questo ciclo di interviste per Pop up the volume.

La tappa catanese rappresenta un po’ la fine di un ciclo di concerti estivi a dir poco insolito. Quanto è stato difficile?
«Una situazione complicata che continua, avremmo dovuto fare un concerto a Monreale il 4 settembre ma è stato annullato per un sospetto caso Covid. È tutto molto precario. In qualche modo, stiamo cercando di fare comunque i concerti in sicurezza. Uno spazio all’aperto come la Villa Bellini permette tutto ciò, quindi, chi ha voglia di vedere un concerto lo faccia adesso perché nei live club al chiuso sarà tutto più complicato».

Durante il lockdown hai licenziato un album con versioni domestiche di tuoi brani: Casacasa live session.
«È stata una causalità. Abbiamo registrato la session il 21 febbraio. Ho avuto la possibilità di invitare a casa dei musicisti, cosa che da lì a breve non sarebbe stata possibile. E durante il lockdown abbiamo rilasciato una canzone a settimana su Youtube. Abbiamo cercato di occupare quello spazio per dare questi piccoli contributi musicali».

Alcuni fan ricorderanno la tua estate anche per una diatriba con il sindaco di Messina Cateno De Luca.
«Con un post avevo apostrofato De Luca come un giullare, per il suo modo di porsi. E questa cosa non è andata giù, probabilmente non a lui direttamente, ma ad alcuni suoi collaboratori, fino al punto di fare interrompere le trattative in corso per un mio concerto a Messina. Me ne sono lamentato in un post e il sindaco ha poi minacciato di querelarmi. La situazione si è quindi gonfiata, come accade sui social».

Altro effetto dei social lo ritroviamo anche in ciò a cui stiamo assistendo più di recente, tra odio, negazionismo, bullismo. Non è facile restare indifferenti.
«Diciamo che quando intravedo un politico che fa demagogia o populismo me ne lamento, non riesco a farne a meno, anche se magari per opportunismo dovrei tacere. Credo che un artista abbia anche il dovere di dire quello che pensa, a costo di essere scomodo. Sono piuttosto allarmato dalla piega che prende un po’ la politica, dalla cultura delle fake news, da questo speculare mediatico; sono cose che non mi fanno ben sperare per il futuro. Ma finché abbiamo forza cerchiamo di lottare in “direzione ostinata e contraria” (citazione deandreiana, ndr)».

Oggi è cambiata anche la musica pop in Italia. Qual è il tuo approccio con l’attuale tendenza? Credi sia passeggera?
«Sono ormai entrato in una fase in cui seguo solo le cose che m’interessano, che mi piacciono, ma non ho più quell’ansia di stare sul pezzo, di seguire le ultime produzioni. Anche musicalmente, cerco di fare bene quello che so fare. Sarebbe ridicolo se cercassi di misurarmi con le nuove leve per stare al passo con loro. Hanno un loro linguaggio e io ho il mio, che è abbastanza collaudato negli anni e che ho intenzione di approfondire, rimanendo nel mio solco stilistico. Negli ultimi dischi ho cercato, per un divertimento personal,e di inserire dell’elettronica, flirtando con il clubbing, un po’ vintage, anni ’90, come in Caduto dalle stelle. È un po’ nostalgia di quegli anni, di quando frequentavo i locali e andavo a ballare fino al mattino, quindi di quel sound, quell’house swingante. Ma non sono sul pezzo con le ultime tendenze».

Il tuo amore per la musica brasiliana è invece sempre vivo, un amore aperto, dichiarato. T’incuriosisce anche scoprirne le novità o sei prevalentemente legato ai grandi nomi del passato?
«Se mi capita sì, sono ben disposto ad ascoltare le novità. Però i miei maestri, come Caetano Veloso, João Gilberto o Jobim, rimangono delle pietre miliari e come tutti i classici sono materia di studio infinita. I musicisti classici non smettono di studiare Bach o Mozart o Beethoven, perché sono degli artisti talmente ricchi di possibilità di livelli di lettura, di possibilità interpretative, che non basta una vita per studiarli».

Hai qualcosa in programma nel futuro imminente o non ti stai sbilanciando più di tanto, date le incertezze?
«Sono già al lavoro con un nuovo capitolo. Non posso spoilerarlo perché è un progetto particolare, per cui a suo tempo verrà svelata l’idea che lo sorregge. Me la sto prendendo con calma anche perché pubblicare dischi in questo periodo è rischioso e troppo precario e si rischierebbe di bruciare dei progetti su cui si è investito tempo, lavoro e denaro. Ma vedrà la luce nel 2021».


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